Lettura spassionata del libro ⟪Dalla Terra all’Italia⟫ di Maurizio Martina (ex-Ministro Mipaaf).
Lettura spassionata del libro
Lettura spassionata del libro
La scarsa funzionalità dei servizi preposti alla tutela dell’ambiente, i conflitti di competenza e le confuse pletoriche leggi e norme concorrono, unitamente alla pervasiva corruzione, al degrado e alla distruzione del paesaggio e dell’ambiente. Incompetenza, assenza di un chiaro disegno politico, improvvisazione hanno prodotto delle riforme nell’ambito agro-silvo-pastorale (soppressione del CFS, riforma del Mpaaf(t), abolizione delle provincie, ecc.) che hanno accentuato l’indeterminazione delle funzioni tecnico-amministrative (nazionali, regionali e locali). Sono state accorpate istituzioni, soppressi servizi indispensabili, emarginate competenze tecnico-scientifiche. Si sono moltiplicate leggi e regolamenti spesso inapplicabili, mortificando ricerca e cultura. Per fronteggiare questa sconfortante situazione, conviene rivolgersi al Protettore dei Forestali d’Italia (San Giovanni Gualberto), affinché – memore delle lotte contro l’accaparramento dei beni comuni da parte dei predatori dell’epoca (Chiesa e Feudalità) – freni questa devastante politica di “apprendisti stregoni” e scongiuri catastrofiche conseguenze.
Alcune considerazioni sulle funzioni ed attività svolte in passato dalla “Milizia nazionale forestale” e dal CFS, accorpato all’Arma dei carabinieri con il decreto Madia-Renzi.. Presenza di due anime nella “Forestale”: tecnica-scientifica e militar-poliziesca. Deriva poliziesca del Corpo attraverso i vari provvedimenti dei governi di centro-destra e centro-sinistra per rafforzare il Mipaaf e centralizzare la politica agro-silvo-pastorale. Vacuità ed improvvisazione della riforma Madia foriera di conflitti e contraddizioni.
Nella precedente nota ho esposto alcune considerazioni in merito al decreto Madia-Renzi sull’accorpamento del Corpo forestale dello Stato (CFS) all’Arma dei carabinieri, giungendo alla conclusione che si tratta dell’epilogo “naturale” della trasformazione di questa “forza di polizia ad ordinamento civile, specializzata nella tutela del patrimonio agro-forestale” in uno dei cinque corpi di polizia nazionale, con […]
Con le disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia, il Corpo forestale dello Stato è stato assorbito nell’Arma dei carabinieri, la quale eserciterà le funzioni svolte in precedenza dal Corpo. Lo scioglimento del CFS e il suo assorbimento nell’Arma dei carabinieri ha provocato sconcerto nel mondo forestale, poiché si è trattato di una vera e propria «rottamazione» analoga all’estemporanea raffazzonata soppressione delle provincie. Si analizzano le cause della progressiva trasformazione del CFS in organo di polizia ambientale e le contraddizioni conseguenti all’accorpamento. La militarizzazione del CFS, in assenza di un coordinamento con le amministrazioni regionali e locali e di un chiaro disegno politico di salvaguardia ambientale, inasprisce i conflitti di competenza e la conflittualità sociale senza incidere sul malgoverno e sulla diffusa corruzione nella fruizione dei beni naturali.
Si esamina il significato di “autopoiesi” e il significato di “bosco autopoietico” nel contesto della “selvicoltura silvo-sistemica”, giungendo alla conclusione che si tratta di una visione mistico-animistica delle foreste. Si rileva anche la genericità delle prescrizioni selvicolturali e delle indicazioni per la gestione dei boschi fornite dai “silvo-sistemici”, perché prive di ogni fondamento sperimentale, basate su concezioni ideologiche dell’ecologia profonda e dell’epistemologia post-moderna.
Si pone in rilievo che la «selvicoltura» è un’attività continuativa, specifica, la quale non si riduce ad enunciazione di principi generali (eco-sostenibilità, grado di “naturalità”, “perpetuità”, ecc.). Essa si fonda sull’applicazione di «sistemi selvicolturali», che devono tener conto non solo dei caratteri ecologici specifici delle biocenosi boschive, ma anche del contesto economico-sociale dell’ambiente in cui si opera. Per coltivare il bosco (far «selvicoltura) bisogna avere un piano operativo, proiettato nel tempo, che garantisca una persistenza del «bosco», una continuità nell’erogazione dei benefici, compatibilmente con le risorse economiche disponibili. Si esaminano vari “sistemi selvicolturali”, mostrando come le indicazioni operative della “selvicoltura silvo-sistemica” siano piuttosto generiche e tali da non essere applicabili nelle diverse situazioni ecologiche ed ambientali della realtà forestale italiana.
Si esamina se il «riduzionismo», il «meccanicismo» e l’«antropocentrismo» del pensiero di Descartes, (dopo Newton, Bacone, Galilei e Einstein) hanno influito negativamente sullo sviluppo della «selvicoltura classica». L’avversione dei «silvo-sistemici» per il metodo sperimentale e per il pensiero di questi filosofi derivano da preconcetti ideologici estranei alla pratica colturale dei boschi. Il concetto di «ecologia» di Haeckel e degli studiosi della natura differisce dal «pensiero ecologico» degli ambientalisti, fondato di frequente su visioni mistiche, irrazionali ed antiscientifiche della natura. La «selvicoltura classica» [comprendente la «selvicoltura finanziaria», la «selvicoltura naturalistica» e la «selvicoltura su basi ecologiche»] è una inconsistente personale classificazione dei «silvo-sistemici».
Si affronta il tema delle diverse “selvicolture”, catalogate come “classiche” dai “silvo-sistemici”, per individuare la specificità del “paradigma silvo-sistemico”, la concretezza delle analisi filosofico-epistemologiche, la concezione di “bosco” e altro ancora.
Si contestano le affermazioni del professor Ciancio circa l’origine della “selvicoltura”, dimostrando che per giustificare la validità scientifica della “selvicoltura sistemica” si ricorre talvolta a manipolazioni di fatti storici e ad alterazioni semantiche.