San Giovanni Gualberto proteggici dai riformatori agro-silvo-pastorali

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Papa Pacelli

Stemma del Papa Pio XII (Eugenio Pacelli).

 

I verdi boschi, manifesta e meravigliosa opera di Dio, non solo procurano agli stanchi mortali l’ombra che ne ritempra le forze, non solo richiamano gli animi dal turbinio logorante del mondo elevandoli dolcemente alle cose celesti, ma in molteplici maniere sono di utilità agli uomini e di aiuto ai bisogni della vita.
Instancabili pertanto vigilano le Guardie Forestali, perché le campagne e specialmente i monti non siano spogliati del loro ornamento arboreo, anzi se ne rivestano le alture e le plaghe incolte, e razionale sia la coltura dei boschi, cedui e non cedui, di modo che nessun danno abbia a patire il patrimonio forestale»
1.


Nel 1948  con la soppressione della
«Milizia Forestale» e della «Guardia nazionale repubblicana della montagna e delle foreste» veniva istituito il «Corpo Forestale dello Stato (CFS)», il quale, nei difficili anni del Dopoguerra, svolgeva un importante ruolo nella salvaguardia del patrimonio silvo-pastorale e nella ricomposizione dei danni economici e sociali prodotti dal conflitto.
Il 12 gennaio 1951, Papa Pio XII (Pacelli) proclamava San Giovanni Gualberto «Patrono dei Forestali d’Italia», affinché il fondatore della «Congregazione Vallombrosana» assistesse spiritualmente le guardie e gli operai forestali nella loro attività di protezione del patrimonio silvo-pastorale e di sviluppo dell’economia montana.
La scelta di invocare la protezione di questo santo fu dettata dalle vicende di Giovanni Gualberto, vissuto sul finire del X secolo in romitaggio nelle selvagge selve dell’Appennino tosco-romagnolo.2

Heremit Hünchen bratend.

Carl Spitzweg, Eremita che arrostisce un pollo.

Strenuo combattente dello strapotere e della corruzione ecclesiatica e feudale, il Patrono dei forestali italiani e brasiliani  (1956), ha avuto il merito di fondare nel 1036 il cenobio di Vallombrosa3,  e di dar vita ad una comunità di proseliti della «Regola monastica benedettina». Severo propugnatore della povertà, Gualberto è figura emblematica di oppositore alla corruzione e al malcostume ecclesiastico (simonia,  nicolaismo e nepotismo). Per questo fu costretto a trovar rifugio nelle selve vallombrosane, casentinesi e mugellane assieme ad altri compagni di fede.
A quel tempo infatti nelle selve trovavano rifugio
rustici legati all’ambiente forestale (carbonai, cacciatori, vetrai, raccoglitori di prodotti forestali, porcari, ecc.), reietti della società (folli, lebbrosi, delinquenti, prostitute), eretici, dissidenti ed eremiti che vivevano in povertà volontaria con il magro sostentamento di prodotti silvani e orticoli.  Gli eremiti o monaci transfughi, che abbandonavano gli abitati – tra il secolo XI e XIII – e si rifugiavano ai margini o nelle radure delle dense selve, chiedevano un rinnovamento non solo della Chiesa, ma di tutta la cristianità. Lottavano per ripristinare gli ideali dimenticati della vita apostolica, giudicavano e censuravano la differenza tra il fasto della feudalità religiosa e laica e la miseria e l’abbrutimento degli emarginati e dei reietti.
«La popolarità di famosi eremiti – e ricordiamo solo san Nino da Rossano, san Romualdo, san Giovanni Gualberto o san Pier Damiani – testimoniano del favore incontrato da simili iniziative, favore tuttavia di portata ristretta, e origine di sole conversioni individuali»4. Nondiméno questi fuggiaschi dalla vita urbana esercitarono un importante ruolo nella crescita spirituale e materiale dei rurali alla ricerca di nuove terre da dissodare e contribuirono anche a proteggere certi angoli di «foresta deserto» dal dissodamento.

San Gualberto Miracolo

Bicci di Lorenzo, Miracolo di San Gualberto, distruzione dell’abazzia di Moscheta. Per intercessione del santo il fiume Seve supera la montagna e devasta l’abazzia corrotta di San Pietro a Moscheta.

La comunità eremitica facente capo a Gualberto, i Vallombrosani, fu coinvolta nelle lotte che i ceti popolari, artigiani, mercanti e basso clero conducevano contro la gerarchia ecclesiastica corrotta e simoniaca, rifacedosi apertamente al movimento milanese della Pataria5.
Le relazioni dei primi Vallombrosani e dello stesso Giovanni Gualberto col clero lombardo furono precoci e intense per la consonanza degli obbiettivi riformatori6.

Le lotte e gli scontri, anche fisici, contro il clero simoniaco e la feudalità laica di questi «… uomini del monastero di san Miniato, che, alla ricerca d’una vita più perfetta, hanno lasciato il loro cenobio, frequentato da troppa gente, preferendo condurre vita santa in un luogo solitario» furono accese e violente7.

Filippo, di Antonio Filippelli: Pietro Igneo (discepolo di Gualberto) con l’ordalia del fuoco dimostra che il vescovo Mezzabarba era simoniaco.

Persino Pier Damiano, sostenitore del movimento di riforma della Chiesa, redarguì gli eccessi di Gualberto e dei suoi seguaci, condannando l’attività politica condotta nei centri urbani:
«… hai stabilito di condurre vita eremitica non nella solitudine, ma tra le mura di una popolosa città, dove tutto ciò che viene ingiunto da un personaggio che si è fatto un nome così illustre è subito preso alla lettera, come se fosse oracolo vaticinato da una qualche Sibilla»8.

Contadino alleva maiali con ghiande

Contadino che nutre i maiali con ghiande. Psalterio di Eleanora d’Aquitaine (ca. 1180). Libreria Nazionale dei Paesi Bassi.

L’elevazione di Giovanni Gualberto a Patrono dei forestali non può essere ascritta a particolari meriti nella tutela e cura dei boschi, perché a quel tempo «Le operazioni di disboscamento e di messa a coltura del bosco (sylva infructuosa roncare) erano limitate a creare degli spazi per coltivare cereali e ortalizie di uso personale». Per lungo tempo si è creduto che i grandi artefici della messa a coltura del bosco fossero stati i monaci, ma, questo luogo comune è stato ampiamente sfatato dagli storici del Medioevo. Come osserva il Duby «… I Cluniacesi, i Benedettini di antica osservanza, conducevano, infatti, una vita di tipo signorile, quindi oziosa. Essi aspettavano di ricevere in dono della terra già bell’e pronta, già fornita del personale necessario alla sua valorizzazione, dei mansi “vestiti“, come allora si diceva, di uomini e di bestiame; e non si preoccupavano minimamente di dissodare».9
Solo « … Alla fine dell’XI secolo, nuovi ordini religiosi, più portati all’ascetismo, decisero di stabilirsi nella solitudine, cioè in mezzo alle terre incolte, restaurando al tempo stesso la dignità del lavoro manuale» e «…i soli uomini di Dio che abbiano efficacemente partecipato con le loro mani all’assalto delle zone incolte e abbiano abbattuto alberi e aperto nuove terre arate, furono gli eremiti che, nei secoli XI e XII, vivevano numerosissimi ai limiti delle foreste d’Europa».10

Fabrication du charbon de bois

Fabrication du charbon de bois au XVIIIe siècle. Planche de l’Encyclopédie de Diderot et d’Alembert.

Si diffondono spesso encomiastiche notizie   sulla presunta applicazione di particolari tecniche selvicolturali da parte dei monaci vallombrosani e cistercensi. Numerose citazioni riguardano il loro supposto impegno nell’applicazione di regole e pratiche selvicolturali, quali la tecnica del taglio raso e rinnovazione artificiale delle abetine. Si tratta però di note apologetiche, non supportate da una rigorosa documentazione ed analisi storica. Spesso infatti si confonde l’applicazione di pratiche e metodi colturali ampiamente utilizzati in tempi remoti, designandoli con terminologie e attributi tipici di sistemi operativi elaborati  in altre epoche. Così, di recente, si è voluto presentare il «Codice forestale camaldolese11», come «esempio tangibile di gestione multifunzionale, flessibile e durevole delle risorse» e l’ Osservatorio Foreste INEA ha presentato nel 2010 una serie di pubblicazioni per magnificare la presunta «filiera agro-silvo-pastorale istituita e gestita per oltre otto secoli dai monaci camaldolesi» […] «che può rappresentare un moderno modello per una gestione attiva e sostenibile delle risorse ambientali».
D
al punto di vista storico è inammissibile, oltreché grottesco adittare generiche regole sull’asportazione di legname dalle abetine e sull’eventuale impianto di giovani piante spontanee reperite nei boschi (selvaggioni), come esempio di «gestione sostenibile del bosco» praticato dai Camaldolesi fin dall’epoca del fondatore San Romualdo.
Il «Codice Forestale Camaldolese» non attesta le “radici della sostenibilità” (checché significhi questa espressione) delle foreste appenniniche ad opera di questo o dell’analogo ordine monacale  vallombrosano. Niente testimonia che questi ordini monastici siano stati iniziatori e diffusori di specifiche pratiche selvicolturali e di codificate forme di gestione delle abetine appenniniche.12

Carl Spitzweg, Monaci che discutono (Disputierende Mönche).

Gli ordini monastici non hanno mai emanato norme selvicolturali e […] «non venne mai promulgato uno specifico codice dedicato alla gestione forestale». Infatti «… tutte le Constitutiones o Regolae susseguitisi nei secoli, le disposizioni riguardanti la cura dei singoli alberi e dell’intera foresta non furono mai inserite in capitoli specifici»13. Poco importa poi se «tali disposizioni divennero parte integrante delle regole di vita dei monaci», e siano state lodevolmente “interiorizzate”  nella loro vita dando luogo ad una «gestione boschiva sostenibile». Sta di fatto che INEA presenta delle tesi insostenibili, falsificando la realtà mediante l’uso di  termini, espressioni e concetti incongrui e fuorvianti.
Non è neppure vero che a «partire dal XIV sec. i monaci abbiano sviluppato la tecnica selvicolturale del taglio raso e del reimpianto dell’abete bianco»14, perché questa pratica colturale (eliminazione del soprassuolo e re-impianto di semenzali o selvaggioni esisteva fin dai primordi dell’agricoltura. Diventa però una tecnica selvicolturale, quando si affinano gli studi sulle modalità di esecuzione dei tagli di utilizzazione e di rinnovazione dei soprassuoli in funzione delle caratteristiche ecologiche dei diversi popolamenti boschivi.

Per trovare una testimonianza di misure selvicolturali puntualmente definite si dovrà attendere  fino al XVIII secolo, quando l’abate Luigi Fornaini15,  sostenne che l’unica possibilità di salvaguardare i boschi fosse quella di attribuire la proprietà non più a privati, bensì alla collettività per le particolari funzioni di protezione idrogeologica e di equilibrio ecologico e sociale del territorio. Nel «Saggio sopra l’utilità di ben conservare e preservare le foreste (Firenze 1825)» descrisse con cura il metodo per migliorare lo sviluppo delle diverse specie arboree seguendo gli indirizzi colturali in atto in Germania e in Francia.16
Manca invece una documentazione sull’applicazione di particolari misure colturali dei boschi da parte di Michele Flammini (Beato, abate di Vallombrosa dal 1347-1370) talvolta citato come precursore della selvicoltura e estensore di «costituzioni» per la coltura dei boschi. Queste, secondo accreditati storici, non sono mai esistite.17
Mancano quindi documenti attestanti l’applicazione, in quegli anni, di regolari pratiche selvicolturali e non si possono considerare tecniche colturali i generici e vaghi accenni sulla necessità di curare le selve come fonte di prodotti benefici, perché fin dall’antichità si facevano raccomandazioni  di tal genere.

Abazzia di Vallombrosa

Questo ricordo a Gualberto vuol essere quindi un omaggio non al suo presunto impegno nell’applicazione di norme selvicolturali o allo sviluppo di buone pratiche agricole nel romitaggio di Vallombrosa e tra le selve appenniniche,  ma alla sua vita di lotta contro vizi diffusi a quel tempo (simonia, corruzione, nepotismo, malversazione e oppressione dei deboli). Vizi purtroppo ancora vivi e radicati nel nostro Paese e che hanno trovato anche nei Forestali una certa diffusione, specie nelle precedenti gestioni del CFS.
È anche un invito ai lavoratori forestali (e non solo) a seguire l’esempio di rigore morale e di combattività di questi poveri eremiti che si appartavano nelle «foreste rifugio» per sfuggire alle angherie dei potenti, cercando di vivere in pace contemplando la natura assieme ad altri diseredati.

Voglio credere che l’elevazione di Giovanni Gualberto a Patrono dei forestali da parte del Pontefice non fosse solo un’esortazione al CFS a dedicarsi alla cura dei boschi e alla regimazione delle acque, ma costituisse anche un invito a seguirne l’esempio, combattendo la corruzione, il nepotismo, la malversazione, il mal-uso delle risorse materiali. Con tutta evidenza però il potere spirituale di questo santo non è stato in grado di frenare questi vizi che negli ultimi vent’anni si sono diffusi e radicati nell’amministrazione agricola e forestale. Non si tratta solo di sparuti episodi di mala amministrazione dei beni ambientali e delle risorse agro-silvo-pastorali, quanto piuttosto di una politica distruttiva del paesaggio, dove «Monti, campagne, marine sono sempre meno il tesoro e il respiro di tutti i cittadini, sono anzi ormai la troppo facile riserva di caccia di chi cinicamente li devasta calpestando il bene comune per il proprio cieco profitto».18

Cantiere stradale sull’Appennino tosco-romagnolo(anni ’50 XX secolo). Fonte: Arch. Consorzio Bonifica Romagna Occidentale – Faenza, (A. Malfitano, La difficile gestione della dorsale appenninica in età contemporanea: il caso bolognese).

L’elevazione di Gualberto a Patrono dei “Forestali” fu però il riconoscimento dell’importanza della missione dei lavoratori impegnati nelle attività boschive e nella gestione delle risorse naturali nelle montagne e nelle zone più disagiate del Paese.
A Vallombrosa, nel 1869, era stato inaugurato l’Istituto forestale per formare amministratori e ingegneri del neonato Regno d’Italia.
Adolfo Di Bérenger19  fu il primo direttore ed apportò al neonato Regno d’Italia le conoscenze scientifiche della selvicoltura tedesca e l’esperienza maturata nella gestione dei boschi del Lombardo-Veneto.  In seguito, alla direzione dell’Istituto si avvicendarono rinomati selvicoltori (Francesco Piccioli, Vittorio Perona) fino all’istituzione a Firenze dell’«Istituto superiore forestale» alle dipendenze del Ministero dell’Agricoltura, alla cui guida sarà chiamato Arrigo Serpieri, docente di economia rurale a Milano e successivamente «Sottosegretario di Stato» al Ministero dell’economia nazionale (1923-24) e responsabile della «bonifica integrale» al Ministero dell’agricoltura e foreste (1929-1935).20

Boscaioli di Selva di Cadore – segheria De Pin, anni ’50. (coll. priv., Union Ladina del Cadore de Medo).

All’epoca dell’elevazione di Gualberto a Patrono dei Forestali, la politica agro-silvo-pastorale era protesa a salvaguardare l’economia delle aree montane e collinari e a sviluppare l’agricoltura e la zootecnia nelle zone economicamente depresse.
Nell’immediato Dopoguerra, le istituzioni tecnico-amministrative e di divulgazione operavano con gli istituti di ricerca ed insegnamento agro-silvo-pastorale. Le leggi forestali erano indirizzate a frenare il dissesto idrogeologico, a favorire l’impiego di manodopera locale e ad arginare il fenomeno dell’emigrazione e di abbandono delle aree montane. La politica orientata allo sviluppo sociale ed economico della montagna e delle aree collinari e planiziarie depresse, favoriva le attività selvicolturali ed ambientali (protezione idrogeologica, viabilità, risanamento igienico-sanitario, istruzione tecnica, ecc.) ed erano guidate da tecnici di elevata professionalità. Ne sono testimonianza i «cantieri di rimboschimento e di difesa idrogeologica21», i provvedimenti per l’economia delle zone disagiate montane e collinari e, successivamente, i cosiddetti «Piani verdi» e altre leggi per lo sviluppo agro-silvo-pastorale e di difesa del territorio. Nel 1952 veniva approvata la legge per la Montagna (nota come legge Fanfani) che porterà ad un nuovo assetto della montagna.22

In quegli anni, il CFS disponeva di una struttura tecnico-amministrativa in grado di assolvere ai gravosi problemi di pianificazione e di esecuzione dei lavori indirizzati allo sviluppo sociale ed economico della montagna e di dirigere importanti opere di rimboschimento, di miglioramento fondiario e di difesa idrogeologica. Forse proprio per dare un segnale di approvazione e di sostegno a questo impulso a sviluppare l’agricoltura, la zootecnia e altre attività economiche nei territori montani e collinari, frenando l’esodo delle popolazioni rurali, il Pontefice designò come patrono dei “forestali” Giovanni Gualberto, che era vissuto con i diseredati nelle foreste di  Vallombrosa.

“Gettare il bambino con l’acqua sporca”.

Ora il Corpo Forestale dello Stato (CFS), che faceva risalire la sua fondazione all’iniziativa del re di Sardegna Carlo Felice del 1822, non esiste più.
È stato accorpato all’Arma dei Carabinieri dagli «innovatori», novella schiera di spensierati politici e amministratori modernisti pronti a «gettare il bambino con l’acqua sporca».

Sempre più di frequente si assiste alla comparsa di autonominati «innovatori» (self-appointed innovators), di accesi sostenitori del rinnovamento, di crociati della rottamazione del “vecchio, del “sorpassato, dell’”obsoleto” per far posto al “nuovo”, divenuto sinonimo di moderno, buono, bello, funzionale e di ogni aspirazione al «migliore dei mondi possibili». Gli entusiastici «innovatori» si contrappongono dialetticamente ai «lodatori del tempo passato», a quanti si crogiolano in nostalgiche visioni di un fantomatico passato felice, di un sereno trascorso per esorcizzare un presente denso di paure, reali o fomentate ad arte.

La difficoltà non sta nel credere alle nuove idee ma nel rifuggire dalle vecchie (John Maynard Keynes).

Questi sedicenti innovatori sono in genere animati da un iconoclastico furore di “azzerare” l’amministrazione pubblica, i servizi tecnici, le istituzioni politiche ed economiche dell’esecrabile “passato”, a prescindere da qualsiasi analisi delle conseguenze e degli effetti prodotti o che potrebbero derivare dall’azione intrapresa.
Ma non ci si deve meravigliare se,  di tanto in tanto, sorgono “innovatori” di questo tipo. Già Bacone, a suo tempo, aveva avuto modo di osservare che quello che questi «riformisti» chiamano «rimedio», «soluzione», «cura» è talvolta peggio della malattia («The Remedy is worst than the Desease»).

Ritratto di Francis Bacon

… dopo che una determinata scienza, mediante il lavoro e l’osservazione di molti che apprendono reciprocamente l’uno dall’altro, è stata seriamente affrontata e trattata nelle sue singole parti, sorge qualcuno dallo spirito presuntuoso, dal linguaggio potente e dal metodo popolare che a suo arbitrio costituisce un unico sistema da queste singole parti e lo trasmette alla posterità. In questo compendio tutto viene corrotto e depravato e vengono inevitabilmente omessi come opinioni esagerate e stravaganti tutti quei passaggi che possono presentare le contemplazioni più alte e più degne. I posteri in seguito, contenti della facilità e della brevità della cosa, si rallegrano, non cercano più oltre e adottano quel servile atteggiamento di cui abbiamo parlato”.23

Non voglio di certo negare l’importanza di rinnovare la stantia amministrazione pubblica, di ogni genere e grado, né misconoscere che vi sia un’improrogabile necessità di tagliare la spesa impiegata per mantenere e rafforzare pletorici, quanto inefficienti apparati amministrativi (statali, regionali, provinciali e comunali), associati ad una miriade di enti, organismi, fondazioni, agenzie con funzioni e competenze spesso mal definite oppure aggrovigliate e sovrapposte. Manca una strategia di fondo in questa politica di accorpamenti, trasferimenti e soppressione di enti, uffici, servizi. Si privilegiano riforme nominalistiche per dare l’impressione di avere creato nuovi, più efficaci sistemi di gestione della PA oppure si aggregano tra loro enti di dubbia utilità e ridotta capacità operativa.
Nel caso dell’accorpamento del CFS all’Arma dei Carabinieri, i «Forestali» non sono confluiti nell’Arma per potenziare alcuni servizi lodevolmente svolti da preesistenti nuclei e gruppi dell’Arma (NAS  – Nucleo Antisofisticazioni e Sanità, NOE – Nucleo operativo ecologico, Comando carabinieri per la tutela del lavoro, ecc.).
Il sopppresso CFS, ribatezzato CUTFAA «Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare», è ancora alle dipendenze del Mipaaf, duplicando in tal modo i servizi preesistenti dell’Arma (e non solo).

Francisco Goya, Caprichos: ¿Si sabrá más el discípulo?

Oltre ai precedenti compiti di protezione del patrimonio agro-silvo-pastorale, a questa neonata Unità dell’Arma sono state attribuite funzioni del tutto estranee ad un corpo militarizzato di polizia. Basta dare una rapida scorsa all’art. 7 del decreto legislativo, che specifica le funzioni attribuite alla neonata unità dell’Arma, per rendersi conto che determinati servizi non possono essere espletati da «Carabinieri forestali» come, ad esempio le «attività di studio» connesse alle competenze trasferite:  «alla rilevazione qualitativa e quantitativa delle risorse forestali, anche al fine della costituzione dell’inventario forestale nazionale;  al monitoraggio sullo stato fitosanitario delle foreste; ai controlli sul livello di inquinamento degli ecosistemi forestali; al monitoraggio del territorio in genere con raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati, anche relativi alle aree percorse dal fuoco».

È opinabile che le  «attivita’ di supporto al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nella rappresentanza e nella tutela degli interessi forestali nazionali in sede comunitaria e internazionale e raccordo con le politiche forestali regionali» possano essere esercitate dai “Carabinieri forestali”, perché molti problemi tecnici, scientifici ed operativi debbono essere valutati da organismi scientifici ed affrontati con l’azione coordinata delle Regioni, di altri ministeri «MATTM – Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare» – (vero e proprio “Convitato di pietra” in questa saga riformistica ministerial-governativa); «MIT – Ministero delle Infrastrutture e Trasporti»; «MEF – Ministero dell’Economia e delle Finanze», ecc.) o di altri organismi.

Adriaen van Ostande, Il maestro di scuola.

Per non parlare poi dell’incombenza di curare l’«educazione ambientale», la «tutela del paesaggio e dell’ecosistema», la «biodiversità» e i «serbatoi di carbonio» (il fantomatico «Carbon storage»), ammesso che il legislatore e i tecnici, che hanno fornito tali indicazioni, sappiano quali problemi scientifici, tecnici, economici e sociali siano sottesi ai termini biodiversità, ecosistemi, monitoraggio ambientale, gestione sostenibile, ecc.,  impiegati con tanta disinvoltura.

So che scuola, istruzione e ricerca navigano in pessime acque per molteplici motivi (non ultimo, i tagli indiscriminati subiti), ma non immaginavo fosse necessario ricorrere alla “Benemerita” per fare educazione ambientale, perché di insegnanti precari, mal occupati o che si affannano a cercar lavoro ne esistono ormai a bizzeffe. E poi gli istituti tecnici di ogni ordine grado, le tante facoltà e scuole di perfezionamento universitarie (pubbliche e private), gli ordini e le più disparate associazioni professionali tengono variegati corsi, seminari, stages, workshops, ecc., di perfezionamento, aggiornamento formazione e così via, sui temi ricordati, sfornando un bel numero di allievi, più o meno preparati, a svolgere quei compiti impropriamente attribuiti al CUTFAA, che è pur sempre di un corpo militarizzato di polizia.

Nella cooptazione del CFS nell’Arma dei carabinieri non si è  tenuto conto che le provincie, i comuni e dalle amministrazioni agro-forestali regionali si sono dotate di autonomi servizi cinegétici, di controllo idrico e di tutela ambientale e che alcune funzioni competono ad altri ministeri (Sanità, Ambiente, Infrastrutture, Ricerca, Istruzione, Protezione civile) o alle regioni (ASL), come il controllo degli alimenti, la salvaguardia dei beni paesaggistici e culturali, i controlli alimentari e altro ancora.
Oltre alla mancanza di un coordinamento dei servizi svolti dai diversi soggetti, fa difetto una chiara linea gerarchica e un sistema integrato di comunicazione che garantisca al cittadino e alla comunità una rapida univoca trasmissione (e risposta) dei messaggi.
Insomma questo accorpamento del CFS all’Arma dei Carabinieri, che, secondo le stime governative, comporta un risparmio di cento milioni in tre anni24  non ha risolto l’annoso problema del conflitto di competenze tra Stato e Regioni; non ha realizzato un effettivo decentramento amministrativo e non ha ridefinto in modo chiaro le competenze e le funzioni dei diversi organismi amministrativi deputati alla salvaguardia del patrimonio agro-silvo-pastorale e ambientale (Ministeri, Regioni, Province, Comunità montane – oggi Unioni montane di comuni -, Comuni, Consorzi di Bonifica, e svariati enti, organismi, associazioni preposti alla salvaguardia dell’ambiente, attualmente presidiati da un pletora di politici-amministratori nel “Deserto dei Tartari”.  Per di più, non ha provveduto al riordino delle pletoriche norme legislative in materia e non ha regolato la moltiplicazione di servizi e istituti di repressione a scapito di efficienti servizi tecnici di prevenzione e controllo.

Vallombrosa: Protesta dei “forestali” (12 luglio 2016). Festa del santo Patrono Gualberto (foto ANSA).

Anzichè affrontare a livello statale e regionale il problema politico della salvaguardia del patrimonio paesaggistico e culturale oggetto di depredazione e degrado, si è privilegiata la via legale, dando stura ad un contenzioso amministrativo, che – conoscendo il lento corso della giustizia e la cavillosità dei legulei – perdurerà a lungo animando il dibattito sulla giustezza o iniquità della misura ai fini della carriera o dello stato economico personale.

Proteste dei “forestali” per l’accorpamento del CFS alla “Benemerita”.

Il personale forestale si è schierato in gran parte contro la militarizzazione del Corpo e per la difesa delle connesse prerogative giuridico-sindacali; le associazioni naturalistiche hanno espresso preoccupazione per le future infauste sorti dei boschi e della natura del Paese; i “ben pensanti” di ogni colore politico hanno deplorato lo spreco di denaro per i “forestali” così numerosi del Meridione, confondendo il personale CFS con gli operai forestali.

Gianni Alemanno, Ministro Mipaf (Primo & secondo Governo Berlusconi)

Poche voci hanno ricordato che la “riforma” del ministro Alemanno aveva trasformato il CFS in un corpo parallelo di polizia25,  e che la maggioranza delle Regioni, dopo l’assegnazione delle competenze in materia agricola e forestale, non era stata in grado di dotarsi di servizi di gestione di questo patrimonio, anche a causa della politica accentratrice e dell’ostruzionismo ministeriale.
Con insistenza si richiede la revisione delle norme che hanno regolato l’accorpamento del CFS all’Arma dei Carabinieri, magari per rimettere in vita un «Corpo  di polizia forestale e ambientale» che tuteli il patrimonio agro-silvo-pastorale ed ambientale delle Regioni.26  L’ aspirazione comune sembra essere quella di tornare al passato, dimenticando che gran parte delle amministrazioni regionali si è disinteressata di boschi e di beni paesaggistici non solo per motivi economici, ma anche per ragioni culturali e sociali (scarsi bacini elettorali, presenza di interessi confliggenti con la tutela ambientale, ridotta vigilanza territoriale, lassezza burocratica, ecc.). D’altra parte, con la riforma Alemanno e con i successivi governi, il C.F.S. si era dato una struttura militar-poliziesca gerarchica e centralizzata, progressivamente svuotata di competenze professionali in materia selvicolturale e ambientale, inadeguata per la tutela attiva dei beni agro-silvo-pastorali e inadatta a fornire un supporto tecnico-gestionale per le esigenze locali.
La maggior parte delle Regioni, escludendo quelle con una consolidata tradizione amministrativa forestale (Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli/VG, Lombardia, Piemonte, Liguria, Val d’Aosta) hanno preferito delegare, dapprima il CFS mediante apposite convenzioni, poi vari enti locali (Province-Città metropolitane, Comunità montane) a gestire questi beni.
Le deleghe agli enti locali, attribuite in modo disomogeneo e senza una chiara visione della complessità e varietà di situazioni ambientali e sociali del territorio, hanno creato un vero e proprio caos  amministrativo e, di fatto, una paralisi degli interventi. Basti rammentare, a questo proposito, lo sconvolgimento funzionale, organizzativo e finanziario provocato dalla “Legge Delrio27”  che ha comportato la soppressione o la riduzione di servizi indispensabili del comparto agro-forestale e ambientale.28

Stalle di Augia

Le fatiche di Ercole: pulizia delle stalle di Augia, re dell’Elide, dove, da più di trent’anni, stazionavano tremila buoi.

Il riordino delle attribuzioni, competenze e funzioni dell’indistricabile labirinto burocratico di leggi e procedure create ad «usum Delphini», e di continuo adattate e  manipolate per  soddisfare e consolidare faziosi interessi di parte è ormai improcrastinabile. Manca la volontà e la determinazione politica di mettere mano a questa erculea impresa, che comporterebbe il sanzionamento della disinvolta prassi di confondere il “pubblico” col “privato” e di manipolare leggi, regolamenti e provvedimenti amministrativi per conseguire e rafforzare particolari posizioni di potere o per acquisire consensi elettorali. Questo richiederebbe il progressivo smantellamento dell’attuale apparato amministrativo pletorico, gerarchizzato, subordinato a “manager” e “politici” non sempre all’altezza delle loro funzioni e soprattutto la formazione di una classe di funzionari pubblici (civil servants) preparati e motivati a curare la cosa pubblica.
È noto che «gli eccessi e le complicazioni del legislatore producono ingiustizia» e promuovono la diffusione di comportamenti corrotti.29
La sovrabbondanza di leggi, regolamenti e norme si accompagna spesso ad un’ampia discrenazionalità amministrativa nella loro applicazione, facilitata anche dalla scarsa chiarezza delle procedure codificate, che «può giocare come fattore rilevante della corruzione, come è stato mostrato da più di ventanni, da analisi politologiche, giuridiche ed economiche».30.
Si preferisce ricorrere a fantomatiche propagandistiche operazioni di «rottamazione», o a dubbie operazioni di «snellimento» e di «semplificazione» amministrativa, che spesso celano innominabili fini di potere e privilegio personale o di gruppi di interesse.

Da un ventennio a questa parte, con lo slogan della «lotta agli sprechi» e del risparmio della spesa pubblica, la conclamata «austerity31» si tolgono fondi all’istruzione, alla sanità, ai servizi sociali, in breve da tutti i servizi indispensabili per un’esistenza dignitosa.
Usare il termine austerità in un Paese dove «L’incidenza di povertà assoluta è pari al 6,9% per le famiglie (da 6,3% nel 2016) e all’8,4% per gli individui (da 7,9%),  ha un sapore derisorio.32  Lasciando da parte questi sconfortanti dati statistici, sempre in difetto rispetto alla realtà, sarebbe opportuno sbugiardare molti intellettuali “progressisti” che parlano di “welfare” e diffidare della «gente benestante che discetta frivolmente su come convincere chi marcia con 700/1000 euro al mese a rassegnarsi ai sacrifici in attesa di un futuro migliore».33
Oltre a praticare tagli, riduzione di personale nei servizi sociali e civili e su quant’altro è essenziale per un dignitoso standard di vita, si moltiplicano balzelli, costi aggiuntivi per servizi di scadente qualità, tagli ai salari o alle pensioni minime, mentre si mantengono in vita o addirittura si rafforzano enti disutili o che sono stati privati di funzionalità.
Si accorpano, si aggregano, si rottamano organismi, istituzioni e servizi tecnici indispensabili per una adeguata gestione del patrimonio ambientale, per la salute e per l’educazione pubblica. Si lesinano fondi ai servizi sociali e si mortifica la cultura e la professionalità e, quando ciò non basta per tacitare l’opinione pubblica, si fanno delle “riforme nominalistiche” o di facciata. Si cambia nome alle istituzioni, si adottano denominazioni accattivanti, fascinose nomenclature e seducenti attributi che spesso coprono il vuoto.
Gli esempi di questa disinvolta autoesaltazione di infondati meriti e capacità sono innumerevoli: non esiste minuscolo o insignificante “centro di ricerca” o “ente erogatore di servizi” che non si autodefinisca “di eccellenza” o che si fregi di un appellativo alla moda, preferibilmente inglese.
Ad esempio, lo «Istituto agronomico per l’oltremare (IAO)» di Firenze, declassato a sede periferica dell’Ufficio VI (MAAEE), si fregia della pomposa denominazione «Agenzia italiana per la cooperazione per lo sviluppo (AICS)», pur avendo cessato da tempo ogni attività di ricerca, di istruzione o di assistenza tecnica in materia di agricoltura tropicale e subtropicale. Mancano addirittura servizi che consentano agli studiosi della materia persino di accedere alla biblioteca e alla ricca (e disordinata) documentazione archivistica (i documenti delle ex-colonie italiane). Cito questo esempio, ma se ne potrebbero aggiungere altri, perché in campo agronomico e forestale è  in atto una vera e propria rivoluzione agraria globale con una corsa allo «accaparramento di terre» (Land grabbing34) per produrre alimenti e bio-energia e i mercati finanziari sono in tensione per le speculazioni sui beni primari. In questo frangente si eliminano strutture, corsi di insegnamento, progetti di ricerca e di assistenza agro-ambientale per i paesi tropicali o sub-tropicali, rinunciando a svolgere un’azione positiva anche per alleviare la pressione migratoria nel nostro Paese.

Il «Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura – CREA35» un «ente nazionale di ricerca e sperimentazione con competenza scientifica generale nel settore agricolo, agroindustriale, ittico e forestale» strettamente controllato dall’allora «Ministero per le politiche agricole – Mipa».
Gli istituti afferenti al Mipaaf(t), attualmente raggruppati nel «Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – CREA36 coprono una vasta area di competenze e alcuni hanno un prestigioso curriculum scientifico. La ristrutturazione ministeriale ha comportato l’assorbimento di enti con bilanci dissestati, l’aggregazione di sezioni periferiche e di unità sperimentali sparse nella Penisola, spesso localizzate in zone con un debole retroterra culturale, l’attribuzione di compiti di ricerca di impossibile realizzazione a causa della modesta dimensione strutturale e alla numerosità e tipologia del personale.37
CREA nel complesso ha scarsa capacità operativa e non è certamente in grado di mettere «in campo competenze che spaziano dalla genetica alla fisiologia, alla meccanica e robotica, allo studio dei mezzi tecnici innovativi per la gestione sostenibile delle produzioni, alla gestione della fertilità e della funzionalità dei suoli, alla selvicoltura, all’ecologia degli ambienti naturali e coltivati, agli allevamenti, ai processi dell’industria agroalimentare, alle proprietà nutrizionali degli alimenti e al loro consumo ottimale per mantenere una buona salute e ridurre gli sprechi, con un occhio sempre attento alla tutela del consumatore.38
Un incantevole video, ontologicamente fake (finto e un po’ ipocrita), presenta la solerte attività del personale (2000 unità di cui circa la metà tra ricercatori e tecnologi – precari o con contratti temporanei o flessibili) dediti a rinnovare lo scibile agro-silvo-pastorale-alimentare -social-economico del Paese.

CREA Organizzazione e distribuzione dei centri ed unità di ricerca.

L’attuale struttura centralizzata e gerarchica (il «Presidente» e il «Consiglio d’amministrazione» sono di nomina ministeriale e la stessa composizione del «Consiglio scientifico» è fortemente controllata dal ministero) rappresenta un fattore limitante l’autonomia della ricerca, poiché condiziona drasticamente la scelta, gli indirizzi e le finalità delle indagini sperimentali. La stessa carriera del personale addetto risulta quanto meno ostica e comunque soggetta a pressioni di vario tipo. A causa della penuria di mezzi e di personale con una buona preparazione scientifica e della carenza di  supporti multidisciplinari complementari, la ricerca in alcuni campi rischia di essere superata rispetto ai livelli conoscitivi già acquisiti altrove.  Le complesse problematiche bio-ecologiche e socio-economiche dell’agricoltura moderna non sono affrontate congiuntamente ad altre istituzioni scientifiche nazionali e internazionali e pertanto alcune ricerche hanno scarso interesse pratico. L’attuale parcellizzazione della ricerca agronomica in ministeri ed enti diversi (CNR, Università, Istituti scientifici afferenti ad altre organizzazioni), gli scarsi rapporti di collaborazione con le istituzioni e le realtà produttive locali limitano fortemente le possibilità di fornire un’efficace assistenza tecnico-scientifica ai servizi e alle realtà produttive locali. Le stesse attività di controllo o di certificazione sono demandate a servizi esterni privati e le funzioni di supporto e di istruzione sono assai limitate e soggette a gravosi controlli burocratici.

Obolo del 5‰ a CREA, ente assistenziale per la ricerca in agricoltura.

È indispensabile esaminare lo stato reale della ricerca agro-alimentare e silvo-pastorale del Paese, senza piaggeria, spassionatamente evitando di figurarsi e presentare al pubblico un immagine fittizia edulcorata delle istituzioni e del personale impiegato nel CREA, come in altre istituzioni di ricerca.
Non giova né ai ricercatori, né alla società nel complesso presentare un immagine edulcorata dello stato attuale della ricerca e sperimentazione agraria ed ambientale, che rischia di perpetuare l’arretratezza dell’agricoltura italiana che ha perso competività per le politiche ostili all’innovazione in campo biotecnologico e agroalimentare. Molti dei progetti scientifici presentati da CREA sono tecnicamente irrealizzabili da una struttura di questo tipo e la magnificazione di capacità operative insussistenti comporta un grave danno allo sviluppo delle conoscenze bio-ecologiche in agricoltura, soprattutto se la politica agricola si limita alla difesa del «made in Italy», al marketing agroalimentare e al turismo.

Oltre all’accorpamento del CFS nell’Arma dei Carabinieri, va segnalato quello epocale del Mipaaf (Ministero delle politiche agrarie, alimentari e forestali) che si appropria del turismo, sottraendolo al Mibact (ex-Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) e si trasforma in Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo39.

Araba Fenice che risorge dalle ceneri.

In un “Bestiario medievale” questo ministero verrebbe rappresentato da un essere metà “Araba Fenice” e metà “Camaleonte” (per la propensione a cambiar nome). È infatti risorto da due referendum abrogativi (18 apr. 93 – 79% voti favorevoli, e 15 giu. 1997- quorum non raggiunto). Conosciuto ed identificato, da tempi immemorabili, come  «Ministero per l’Agricoltura e le Foreste – Maf», per un breve lasso di tempo, si è chiamato  «Ministero di coordinamento delle politiche agricole, e forestali – Mipaf», indi «Ministero delle Risorse agricole, alimentari e forestali – Miraaf », sostituito (1997) dal «Ministero per le politiche agricole – Mipa», (onde evitare il referendum abrogativo del 1997)

Camaleonti (Chamaeleonidae) noti per la capacità di mutare colore, ma anche per la lunga lingua retrattile e appiccicosa con cui catturano gli insetti e per i grandi occhi ruotanti indipendentemente tra loro.

per trasformarsi (2001) in «Ministero delle politiche agricole e forestali – Mipaf» fino ad assumere la denominazione «Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali – Mipaaf» (2006). A questa denominazione si aggiunge (2018) una “t” ed ecco nascere il «Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo – Mipaaft».

La nomina del neo-Ministro Agro-turistico (Gian Marco Centinaio) è stata accolta con entusiasmo dagli operatori del settore, che ben conoscono i meriti e le capacità imprenditoriali di questo politico (Lega)40.
Il curriculum attesta che il Ministro svolge il ruolo di direttore commerciale presso «il Viaggio srl» un’agenzia viaggi (tour operator), e che, negli anni Duemila, si è occupato di vendite in diverse aziende alimentari. «Questo ministero dell’agricoltura e del turismo ha possibilità di diventare un ministero del marketing del nostro “Made in Italy” nel mondo», dichiara soddisfatto il neo-Ministro, che «viene dal settore, e non ha davvero “nessuna scusa” per non fare bene».41
Questo trasferimento di funzioni comporta, secondo le dichiarazioni del Governo, il decurtamento di circa 47 milioni di euro del bilancio Mibac a favore del Mipaaft, il passaggio di una quota di personale, la creazione di nuovi dicasteri ed altre spese supplementari. Il neo-Ministro “agro-turistico” ha un ricco programma di riforma dell’ENIT, del CAI e di traslocare il neonato dicastero in una nuova prestigiosa sede.42
Sull’utilità e razionalità di questo “riordino”, che priva il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) del “turismo” assegnandolo aI Mipaaft, si potrebbe discutere a lungo sia in merito ai costi connessi a questo fantasioso “riordino”,  indirizzato a promuovere sagre paesane “gastro-eno-culturali”, “strade dei sapori” e “distretti delle eccellenze agro-alimentari”,  sia al degrado culturale del Bel Paese, ridotto a “fiera eno-gastronomica” e “Disneyland” per un turismo bécero.43
A nessuno degli innovatori è saltato in mente che potesse sussistere un qualche conflitto di interessi in questo fulmineo rimaneggiamento ministeriale, che non arreca alcun beneficio all’agricoltura e indebolisce le capacità operative del Mibac.
Il neo-Ministro agro-turistico non si dimentica dell’agricoltura e tacita i perplessi gli scettici con questa rassicurante dichiarazione:

Pieter Brueghel il Vecchio, Il “Banchetto nuziale” 1566-1567. (Particolare)

«Un turista che viene dall’estero [spiega] vede i paesaggi, la cultura e tutte le altre bellezze che l’Italia può offrire ma vede anche un’incredibile ricchezza enogastronomica. Quindi questo ministero dell’agricoltura e del turismo ha possibilità di diventare un ministero del marketing del nostro Made in Italy nel mondo. Ma il turismo non è solo promozione all’estero, è anche programmazione, aiuto alle imprese, lotta all’abusivismo e sinergia con gli altri ministri».
Anche il Ministro dei Beni Culturali (Alberto Bonisoli, pentastellato) spiega che il provvedimento opera «Al fine di promuovere e valorizzare il turismo italiano anche attraverso i prodotti agroalimentari e il loro legame col territorio. Il “Made in Italy” costituisce infatti un patrimonio unico e rappresenta un eccezionale volano di sviluppo». L’impareggiabilel Ministro della Cultura annuncia subito lo stop alle domeniche gratuite nei musei e nei siti di interesse culturale, perché «Rischiamo di svalutare i nostri siti». I «giacimenti artistici e culturali sono il nostro oro nero» e vanno adeguatamente valorizzati, (i.e. messi in vendita o ceduti in gestione a terzi). Il ritratto del Ministro della cultura fornito dal settimanale “Espresso” () mi esime da ogni fazioso commento.

Altan – Aria fritta, Cipputi !

Il programma per l’agricoltura presentato dal neo-Ministro  è, per restare in tema gastronomico, “aria fritta“.44  Non un accenno all’epocale sovvertimento dell’agricoltura in atto globalmente: «Accaparramento di terre fertili» (Land grabbing) nel Sud del pianeta; Speculazione finanziaria sui prodotti primari (commodities); Trattati commerciali non sempre equi e bilanciati (WTOITPGRFA, CETA, ecc.); Ripercussioni del “Brexit” sull’agricoltura europea e altre pinzillacchere del genere.
Ricordo che, con l’uscita del Regno unito (UK) dall’Unione verranno a mancare all’incirca dieci miliardi di euri. Il che comporterà necessariamente la riduzione dei fondi destinati alla «politica di coesione» (politica regionale) e alla «politica agricola comune – PAC». Nei prossimi sette anni, i crediti del PAC si ridurranno annualmente del 16% per assestarsi intorno a 46 miliardi annui. Ci si dovrà quindi aspettare le consuete lamentele sulle colpe dell’Europa che lesina i soldi all’Italia per un antipatia congenita, e, nel contempo, il Mipaaf(t) si riterrà esentato dal proporre delle misure a sostegno dell’agricoltura nazionale. Va anche ricordato all’ignaro Ministro che gli aiuti all’agricoltura biologica, che in passato hanno avuto un significativo incremento, saranno ridotti per un ammontare superiore a 25% e tutte le misure di riduzione dell’impatto ambientale dell’agricoltura verranno limitate o abbandonate del momento che la Corte dei Conti europea ha stimato che esse «non apportano alcun beneficio per l’ambiente mentre aumentano la complessità delle procedure per il sostegno al reddito45».
Con l’adesione al WTO (gennaio 1995) sono stati progressivamente aboliti alcuni sostegni all’agricoltura (prezzi minimi garantiti, diritti doganali preferenziali, aiuti alle esportazioni, quote di produzione per non compromettere gli scambi e gli accordi commerciali internazionali. Di fatto questa liberalizzazione del mercato ha consentito elevati guadagni per l’industria di trasformazione e di distribuzione, mentre in quarant’anni, i prezzi pagati ai produttori hanno subito un dimezzamento e i consumatori hanno conseguito, dal 1975, un risparmio annuo di -7%46.
Nei programmi ministeriali manca ogni accenno ai problemi ambientali e dell’economia montana; al contrasto dell’infiltrazione mafiosa nella filiera agro-alimentare; all’occupazione e alle condizioni di lavoro agro-alimentare (e ora turistico); al problema del caporalato e della schiavitù di immigrati impiegati in campagna; della ricerca ed istruzione e così via.  Non un accenno ai lavoratori forestali, alla zootecnia in montagna, al dissesto idrogeologico, alle opere di regimazione e sistemazione idro-geologica, ecc.
Gli interventi a sostegno dell’agricoltura riguardano l’etichettatura dei prodotti alimentari (col semaforo o senza), la tassazione dello zucchero (in contrasto con altri ministeri ed organismi sanitari, vedi Fatto alimentare) e la difesa agroalimentare nazionale mediante etichette di tipicità (IGP, DOP, DOCG, ecc.).

Agroalimentare made in Italy (Immagine Ambiente & Sviluppo 12/4/2016)

La grande mistificazione del «Made in Italy», competitivo volano economico dell’economia nazionale, fa ormai parte del “pensiero comune” anche se molti economisti ed operatori esprimono dubbi e perplessità. Osserva infatti Laura Cavestri (Il Sole-24 ore, 11 ag. 2017) «se considerando le nostre quote sulle esportazioni mondiali di manufatti in una prospettiva temporale più lunga, l’industria italiana mostra di aver perso terreno non soltanto negli anni duemila, ma anche nel periodo 2010-16, passando da una quota del 3,5% nel 2006 al 2,9% dieci anni dopo. Certo, si sono affacciati nuovi attori: la Cina (che in questi anni ha guadagnato di più nei confronti di tutti), il Messico, altri Paesi emergenti». Se poi qualche esperto fa timidamente osservare che «l’agroalimentare italiano è forte a casa propria, lo è molto meno in Europa, dove il confronto con Paesi quali Francia, Germania e Spagna mostra un gap sfavorevole ancora elevato in termini di strutture aziendali, di efficienza, di tecnologia e produttività; fattori ai quali, nel caso della Spagna – il nostro principale competitor anche in termini di mix produttivo – si aggiunge anche una differenza a noi sfavorevole sul terreno dei costi del lavoro»47, viene subito smentito dal coro di consensi in difesa della tipicità dei prodotti agroalimentari nazionali.

Andamento delle importazioni ed esportazioni dei prodotti agroalimentari (sin. valori import/export, ds. export meno import (fonte ISTAT).

Queste rassicurazioni di prammatica sul “buon andamento” del settore agro-alimentare, fanno dimenticare che il nostro Paese non è in grado di presentare progetti credibili ed utilizza solo una infima parte degli stanziamenti comunitari in agricoltura e che il numero di truffe nel settore agro-alimentare è piuttosto rilevante. Ricordo, tra le varie frodi, la vicenda fraudolenta delle «Quote latte», sostenute dalla Lega che hanno causato un danno erariale di circa quattro miliardi di euro in 30 anni: «… circa 5 miliardi di euro che i cittadini italiani sono stati e saranno costretti a pagare a causa di quelle poche migliaia di allevatori che hanno ignorato le regole e di quelle decine di politici che dagli Anni 80 a oggi, passando dai ministri della Prima Repubblica ai prati verdi di Pontida, gli hanno promesso che avrebbero potuto farlo»48.

Massaniello

“Sollevazione di Tommaso Aniello di Napoli“, manoscritto di Alessandro Molini (BUB, ms 2466).

Elencare tutte le pseudo-riforme della PA, i cambiamenti nominalistici, gli accorpamenti, le soppressioni, la nascita di nuove organismi privi di reale funzionalità, il mantenimento e potenziamento di carrozzoni clientelari richiederebbe un impegno politico collettivo inimmaginabile in «una società fossilizzata nelle regolamentazioni burocratiche», governata da «degli arruffapopolo» che tuttora stuzzicano «anche i villani con certi discorsi che facevano spalancare loro gli occhi» (Verga), rendendo impossibile la realizzazione di «una società molto più dinamica dell’attuale, articolata in innumerevoli organismi autonomi e continuamente mutevoli49».
In una situazione di generale inefficienza degli organi amministrativi e dei servizi tecnici si è pensato di riformare la pubblica amministrazione accorpando o sopprimendo organismi, enti ed amministrazioni istituzionali senza affrontare il problema della funzionalità, competenza e operatività dei servizi tecnici connessi. L’obbiettivo di fondo delle cosiddette riforme del settore agro-silvo-pstorale ed ambientale pare essere quello di centralizzare la gestione del patrimonio naturale,  gerarchizzando e privando di ogni autonomia le istituzioni pubbliche deputate alla tutela dei beni comuni e aprire la strada a processi di privatizzazione dei beni pubblici.
Si privilegia la repressione rispetto alla prevenzione degli illeciti ambientali. Si scoraggia la partecipazione civica alla salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente. Si ostacolano le iniziative locali di tutela dei beni paesaggistici e culturali. Si mortifica l’istruzione e la cultura privilegiando manifestazioni e progetti superficiali, ma nel contempo culturalmente ammiccanti.  Ciò che desta maggior stupore è l’incapacità politica di prendere atto che per proteggere i beni ambientali e culturali è indispensabile dotarsi di una rete di servizi tecnici efficienti e preparati, dotati di mezzi operativi adeguati e soprattutto di promuovere un controllo sociale diffuso sull’uso del territorio.
Smaniosi di populistico consenso, incapaci di valutare le conseguenze delle scelte politiche effettuate e di misurare gli effetti dei provvedimenti deliberati, questi novelli “apprendisti stregoni” stanno dissipando il patrimonio culturale del Paese, mettendo a repentaglio la civile convivenza.

  1. Papa Pio XII, Atto Ufficiale della Santa Sede della proclamazione di San Giovanni Gualberto Patrono dei Forestali d’Italia (12 gennaio 1951). Tratto da Michele T. Mazzucato, San Giovanni Gualberto.
  2. Secondo accreditate agiografie, Giovanni Gualberto nacque a Petroio (Val di Pesa) da famiglia di origine sconosciuta (probabilmente da un Gualberto vir militaris). Abbracciò il monachesimo a San Miniato (Firenze) dopo aver perdonato l’assassino di un suo parente e aver visto l’immagine di Cristo in croce inclinare la testa in segno di assenso per quest’atto (Vita scritta da Attone di Vallombrosa). In questo cenobio rimase fino all’elezione simoniaca dell’abate Oberto (1036) da parte del vescovo fiorentino Atto, pure simoniaco. Soggiornò presso varie comunità eremitiche della Romagna e della Toscana, soffermandosi anche all’eremo di Camaldoli – fondato da San Romualdo. Abbandonato quest’eremo,  si unì agli eremiti Paolo e Guntelmo, che vivevano a Vallombrosa ed erano legati al monastero di S. Salvatore a Settimo (Firenze), sede di ecclesiatici favorevoli alle istanze riformatrici della Chiesa. Verso il 1038, assieme ad altri monaci fuggiti dal monastero di San Miniato, creò la «Congregazione benedettina vallombrosana», che fu approvata nel 1055 da papa Vittore II. Morì a Passignano (12 luglio 1073) nell’antico monastero di San Michele Arcangelo. Fu elevato agli onori degli altari dal pontefice Celestino III (1193), ma, a causa di contrasti dei vescovi di Fiesole e Firenze con l’abate di Passignano, venne santificato tardivamente (1210). L’accurata «Bibliografia storica ragionata dell’Ordine Vallombrosano» di Francesco Salvestrini è preziosa fonte documentaria su Gualberto e l’Ordine da lui fondato.
  3. «… il primo Eremo di S. Maria d’Aquabella ossia di Vallambrosa, era già stato edificato da Giovanni Gualberto, primo istitutore di quella Congregazione monastica, nel 1043, tostochè un pio fiorentino con atto del 27 agosto di quell’anno donò alcuni beni al Monastero di S. Maria d’Aquabella», Dizionario Geografico, Fisico e Storico della Toscana (E. Repetti)
  4. Manteuffel T., «Nascita dell’eresia», Sansoni, Firenze, 1975.
  5. Questo movimento contro la feudalità laico-ecclesiastica pervertita e oppressiva, si diffuse nell’XI secolo a Milano e nel Centro Italia. Animato dai ceti popolari e dal basso clero, propugnava  una rigenerazione degli ideali religiosi e una riforma ecclesiastica che «salvi il patrimonio della chiesa e di questa restituisca l’unità e la moralità, al di fuori e al di sopra del mondo laico».(Volpe G., Movimenti religiosi e sette ereticali. Sansoni ed., Firenze, 1977, p. 6).  Sulla «Pataria» milanese vedi anche “Medioevoereticale”  a cura di A. Monenti.
  6. «Lotta per la riforma della Chiesa e contro la simonia, forti istanze morali e religiose, ruolo attivo del laicato, sia pure sotto la guida dei sacerdoti e dei monaci) che venne a crearsi tra i religiosi fiorentini e il movimento patarinico, ossia il più importante fenomeno sociale-religioso sorto a Milano e in Lombardia nel secolo XI» (Francesco Salvestrini «Il monachesimo vallombrosano in Lombardia. Storia di una presenza e di una plurisecolare interazione». ERSAV, 2011, p. 7.)
  7. Spinelli G., Rossi G., Alle origini di Vallombrosa – Giovanni Gualberto nella società dell’XI secolo. Europìa, Novara, 1984, p. 31).
  8. Pier Damiani, Op. 51, c. 3, citazione tratta da Spinelli G., Rossi G., Alle origini di Vallombrosa, p. 50.
  9. G. Duby, «L’economia rurale nell’Europa medievale», Laterza Ed., Bari, 1966, pp. 108-109.
  10. G. Duby, ibidem p. 108.
  11. Foresta e monaci di Camaldoli un rapporto millenario tra gestione e conservazione, a cura di Raoul Romano e Sonia Marongiu.
  12. In epoca posteriore alla vita di Romualdo, Gualberto e Daminano, quando la richiesta di abeti per l’economia urbana o marinara diventa pressante, si raccomanderà di aver cura delle abetine anche reimpiantando virgulti selvaggi.
  13. Raul Romano, ibidem p. 39.
  14. Ciancio O., Nocentini S., 2016 – La selvicoltura vallombrosana da Giovanni Gualberto ai giorni d’oggi. L’Italia Forestale e Montana, 71 (2): 105-119.
  15. Antonio don Luigi Fornaini (1755-1838), avversatore della politica di liberalizzazione dei tagli boschivi di Pietro Leopoldo (legge leopoldina del 24 ott. 1780), fu chiamato ad amministrare le foreste di Vallombrosa (1792) e sperimentò le tecniche che meglio si adattavano allo sviluppo e alla riproduzione delle abetaie. Queste misure colturali furono espose nella dissertazione «Della coltivazione degli abeti» alla R. Accademia dei Georgofili (1804).
  16. Aldo Pavari, illustrando gli scritti dell’abate in materia di selvicoltura, in particolare sull’abete bianco a Vallombrosa, mette in evidenza che l’Abate opportunamente consigliava «il taglio raso degli abeti contro vento (da mezzogiorno, data la prevalenza dei vento settentrionale a Vallombrosa) rilasciando gli alberi marginali con fitte chiome». Contemporaneamente mette in evidenza che la pratica dell’impianto di “selvaggioni” per rinnovare le abetine presentava numerose difficoltà, (tant’è vero che su 23.000 piccoli abeti piantati appena un migliaio attecchirono), (Don Luigi Antonio Fornaini (1755 – 1838). «Il Faggio vallombrosano», 1938, 4, 97 – 111.)
  17. Muzzi afferma che «Intorno al 1350 l’abate Flammini enunciò delle “sagge costituzioni” sul come si dovevano coltivare i boschi e i vigneti e stabilì che le stagioni avevano una influenza determinante sulla selvicoltura (Muzzi S., 1953 – Vallombrosa e la selvicoltura. L’ Abbazia di Vallombrosa nel pensiero contemporaneo. Edizioni Vallombrosa, p. 143-169, citazione tratta da Ciancio O., Nocentini S. 2016 – La selvicoltura vallombrosana da Giovanni Gualberto ai giorni d’oggi. L’Italia Forestale e Montana, 71 (2): 105-119). L’abate Serra (morto nel 1511) parla di un codice dove sarebbero state illustrate delle norme messe in atto da questo abate nelle selve di Vallombrosa «constitutiones aliquas salutares adiuvenit, in presidiumque prediorum et sylvarum Vallisumbrosae» (Gabbrielli A., Settesoldi E., 1985 – Vallombrosa e le sue selve. Nove secoli di storia. Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, Corpo Forestale dello Stato. Roma. Collana Verde, 68, p. 18-19). Queste “costitutiones” non furono tuttavia mai reperite e rimane solo la citazione.
  18. Settis S., Paesaggio, Costituzione, Cemento, la battaglia per l’ambiente contro il degrado civile. Einaudi ed., 2010, p. 3.
  19. Nato a Edenau, presso Monaco, il 28 febbraio 1815, dopo essersi adottorato in filosofia, conseguì il relativo diploma nel prestigioso «Imperial Regio Istituto forestale di Mariabrun» nei pressi di Vienna. Studioso forestale con una vasta conoscenza ed esperienza nella gestione del patrimonio boschivo alpino e autore di numerose importanti pubblicazioni di politica forestale e di piani di gestione boschivi nelle regioni alpine annesse al Regno d’Italia, venne anticipatamente collocato a riposo per la sua opposizione alla legge forestale del 1877 (vedi Adolfo di Bérenger attività nel bosco di Cansiglio).
  20. A questo proposito, le testimonianze di A. Gabrielli, «Istruzione forestale in Italia, da Vallombrosa a Firenze» e di Giuseppe Surico (in collaborazione dei docenti della Facoltà di Agraria), rivestono particolare importanza perché evidenziano l’impegno tecnico e scientifico di docenti, ricercatori e personale ausiliario a studiare ed applicare sul territorio le innovazioni confacenti a quei difficili ambienti agro-forestali («1913-2013: 100 anni di studi agrari e forestali nella Villa Granducale delle Cascine a Firenze. Firenze University Press, 2013»).
  21. La legge 264/ 1949, «Cantieri di rimboschimento, di lavoro, di sistemazione montana», ha favorito l’occupazione di un consistente numero di abitanti nelle aree depresse e insieme ha promosso rimboschimenti e opere di regimazione idrogeologica anche in pianura mediante l’impiego prevalente di conifere e specie esotiche.
  22. La «Legge della Montagna (n.991 del 1952)», relativa ai territori montani «Comprensori di Bonifica Montana», ispirata alla «Legge Fondamentale sulla Bonifica integrale (n. 215 del 1933)», fu il primo atto specifico a favore del «territorio montano complessivamente considerato» in ottemperanza con il dettato costituzionale: «La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane» (art. 44, secondo comma).
  23. F. Bacone, 1954 – La confutazione delle filosofie. La Nuova Atlantide e altri scritti [a cura di P. Rossi], Universale Economica, vol. n. 183, Milano, p. 108.
  24. Ovviamente nessuno ha calcolato il costo che la collettività deve sostenere per la carenza di controlli sull’utilizzo dei beni agro-silvo-pastorali e paesaggistici, per la mancanza di un efficiente sistema di prevenzione degli incendi boschivi e di controllo dei reati ambientali (abusivismo, accapparamento privato di beni pubblici, riciclaggio rifiuti, ecc.), un vero disastro.
  25. Si tratta del «Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato» (Legge 6 feb. 2004, n. 36) che ha definito ed ampliato le funzioni del corpo.
  26. Tra i più accesi sostenitori della ricostruzione del CFS ritroviamo Gianni Alemanno, titolare del Mipaf (Berlusconi I, 2001/05 e Berlusconi II, 2005/06), coinvolto nello scandalo “Bruzzi/Mafia capitale), fautore della militarizzazione del corpo.
  27. Legge n. 56/2014, disposizioni in materia di città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni.
  28. Cfr. «Gli enti locali dopo la legge “Delrio” e le leggi regionali d’attuazione».
  29. L’Italia risulta al sessantanovesimo posto su 179 Stati ed è ultima (con più alta percezione della corruzione) nell’area dell’Unione europea e dell’Europa occidentale con Grecia, Romania e Bulgaria (Marco D’Alberti, I due nemici da combattere: i corrotti e il degrado istituzionale, in «Combattere la corruzione: analisi e proposte». Rubbettino ed., 2016, p. 16).
  30. Marco D’Alberti, I due nemici da combattere: i corrotti e il degrado istituzionale, in «Combattere la corruzione: analisi e proposte. Rubbettino ed., 2016, p. 17».
  31. Elegante anglicismo in uso dal 1580, indicante «pratiche ascetiche» o «rigorosi disciplinati comportamenti» che rifuggono dal lusso in nome della semplicità.
  32. «Due decimi di punto della crescita rispetto al 2016 sia per le famiglie sia per gli individui si devono all’inflazione registrata nel 2017. Entrambi i valori sono i più alti della serie storica, che prende avvio dal 2005» e  «Anche la povertà relativa cresce rispetto al 2016. Nel 2017 riguarda 3 milioni 171 mila famiglie residenti (12,3%, contro 10,6% nel 2016), e 9 milioni 368 mila individui (15,6% contro 14,0% dell’anno precedente)», ISTAT, La povertà in Italia).
  33. Luciano Canfora, «È l’Europa che ce lo chiede: Falso». Laterza ed., 2012).
  34. Il «Land grabbing» è la «conseguenza diretta della crisi alimentare scoppiata nel 2007-2008, quando i prezzi dei generi di prima necessità – come il riso, il grano e il mais – sono schizzati alle stelle» (Stefano Liberti, «Grabbing, come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo», Edizioni minimum fax, 20011.). Il crollo del mercato finanziario conseguente all’impennata dei prezzi  ha indotto gli investitori dei paesi “ricchi di liquidità” (sopratutto di petrodollari), ma poveri di terre fertili, ad investire nell’acquisto o nell’affitto di terre nel Sud del pianeta (in particolare nei paesi dell’Africa). Qui si stanno creando vastissime aziende agricole e moderni sistemi logistici per la produzione e la commercializzazione non solo di beni alimentari primari (commodities) e biocarburanti, ma anche di prodotti orto-frutticoli a prezzi assai competitivi – quasi dumping.
  35. Ente nazionale di ricerca e sperimentazione con competenza scientifica generale nel settore agricolo, agroindustriale, ittico e forestale (Decreto legislativo 454/1999, di riorganizzazione della ricerca in agricoltura, in attuazione dell’art. 11, legge n. 59/1997) con istituti distribuiti sul territorio (gli «Istituti di Ricerca e di Sperimentazione Agraria» – IRSA), istituiti nel 1967 (DPR. 1318) .
  36. Denominazione assunta in seguito alla fusione  dell’«Istituto nazionale di economia agraria – INEA» con il «Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – CRA» . In precedenza l’«Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione – INRAN» era stata accorpato agli «Istituti di ricerca e di sperimentazione agraria – IRSA» (D.P.R. 13 nov. 1967, n. 1318) dando vita al CRA.
  37. Il «Piano di razionalizzazione e di riduzione delle strutture di ricerca» è un velleitario progetto basato su (supposti) risparmi spesa, realizzati attraverso l’accentramento di varie funzioni amministrative e gestionali, e su discutibili innovazioni mediante l’aggregazione di unità di ricerca strutturalmente inadeguate per la tipologia degli studi.
  38. Brano tratto da «Conosci CREA», seducente presentazione del «principale Ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari con personalità giuridica di diritto pubblico, vigilato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo (Mipaaf-t)».
  39. Decreto-Legge 12 luglio 2018, n. 86: «Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri dei beni e delle attività culturali e del turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché in materia di famiglia e disabilità». Questa semplice aggiunta della “t” (turismo) alla tradizionale denominazione Mipaaf comporta un certo aggravio di spese per le aziende agro-alimentari che devono cambiare le etichette dei loro prodotti, con conseguenti proteste.
  40. «Dopo un mese di attesa (“ma le cose sospirate sono anche le più gradite”) il Ministro delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio adesso è anche alla guida del turismo italiano», dichiarano soddisfatti gli operatori del Turismo, settore chiave dell’economia italiana (secondo la vulgata corrente vale più del 10% del Pil, ma le statistiche del settore sono piuttosto incerte, L. Martucci)
  41. Gian Marco Centinaio Ministro Mipaaft.

    «Il fatto – spiega soddisfatto – è che sanno che sono un loro collega. Il mondo del turismo ha chiesto che finalmente ci fosse qualcuno competente del settore per provare a invertire la rotta e finalmente questo governo glielo ha dato. Ora bisogna cominciare a correre. Oggi l’Italia è la quinta potenza turistica nel mondo ma dobbiamo crescere e scalare questa classifica» (intervista ad Ansa viaggi).

  42. Val la pena di osservare che 47 milioni di euro decurtati al Mibac corrispondono alla metà del risparmio conseguito  con la soppressione del CFS e l’accorpamento all’Arma dei carabinieri, valutato in 100 milioni nell’arco di tre anni. È interessante notare che la Lega, quattro anni fa, caldeggiava la sopressione del Mipaaf (Governo Letta) e con altrettanta spudoratezza dà vita in questa legislatura “giallo-verde” ad un super-ministero che pretende di salvare l’agricoltura italiana con il marketing dei prodotti agro-alimentari “Made Italy”.
  43. Uso queste espressioni radical-chic per denotare le volgari trasformazioni nel tessuto urbano delle città d’arte trasformate in “mangiatoie” e “ricoveri” per frettolosi quanto disattenti turisti, alle quali si aggiungono finte ricostruzioni storiche di fantasiosi avvenimenti; fittizi prodotti artigianali locali; inventate tipicità e inesistenti tradizioni, ecc., che fanno da contorno alle compulsive visite ai luoghi di cultura ed arte, ridotti a marketing.
  44. Il programma del Mipaaft esposto dal Ministro è disponibile qui in viva voce.
  45. Rapport spécial n° 21/2017: Le verdissement: complexité accrue du régime d’aide au revenu et encore aucun bénéfice pour l’environnement, Luxembourg, 12 decémbre 2017.
  46. «Institut international de la statistique et des études économiques – Insec», citato da F. Courleux, A. Trouvé, «Une politique agricole si peu commune», Le Monde diplomatique, ott. 2018.
  47. Citazione è tratta dal «Rapporto sulla competività dell’agro-alimentare italiano», a cura dell’Ismea (2018)
  48. Giovanna Faggionato, La lunga storia delle quote latte (e il prezzo per i cittadini).
  49. AA.VV., «No al fascismo», a cura di Ernesto Rossi, Einaudi, Torino 1957, p. 189.