Lettura spassionata del libro ⟪Dalla Terra all’Italia⟫ di Maurizio Martina (ex-Ministro Mipaaf).

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Ho pensato fosse utile, ancorché dilettevole, far precedere questo modesto tentativo di recensire il libro di Maurizio Martina (ex-Ministro delle «Politiche agricole alimentari e forestali – Mipaaf1) da un breve filmato sull’«Agroecologia» a Cuba. Qui infatti “si fa di necessità virtù” e si applicano benefiche antiche pratiche agricole stimolati (fors’anche costretti) dal persistente embargo imposto da benestanti ecosostenibili nazioni.
Desidero associarmi all’invito rivolto alle «ragazze e ragazzi (al di sotto di 40 anni)»a battere la rasssegnazionea tornare alla terraa coltivare il futuro del nostro Paese». Appello che estenderei anche ai “populisti”,  alla “sinistra parolaia”, agli “esodati”, agli “immigrati”, ai “disoccupati”, ai perplessi, agli indecisi, agli scettici d’ogni ordine ed età e di qualsivoglia luogo o fattezza.

È un libro «ottimista con la ragione e la volontà», gioiosamente proiettato verso un radioso futuro. Ricco di stimolanti incitamenti, è un invito ad uscire dall’apatia e dalla rassegnazione e a guardare con vitalistica fiducia l’«innovazione» agroalimentare.
Con una esposizione facile e piana, agevolata da note esplicative dei frequenti anglicismi e degli ostici acronimi,  il libro affronta temi critici dell’economia agro-silvo-pastorale e alimentare. Dovizioso di edificanti esempi, fecondo di parabole, incisivo negli elementi figurativi evocati, esemplare per naturalezza e assenza di fastidiose complicazioni e intellettualistiche elucubrazioni, ha il merito di illustrare con chiarezza il difficile percorso verso una nuova, sostenibile e solidale economia agro-silvo-pastorale e alimentare.
In un caleidoscopico succedersi di immagini, ricordi e riflessioni indica soluzioni facilmente raggiungibili attraverso il costante impegno a perseguire il «nuovo», abbandonando stantii superati paradigmi economicistici e populistiche aspettative.
La varietà di temi affrontati, le puntuali soluzioni politiche e tecniche fornite e convalidate dagli emblematici successi conseguiti, fanno di questo libro un vero e proprio “Galateo” del consumatore accorto, responsabile e solidale, e insieme un “Manuale” «per produrre meglio sprecando meno, salvaguardando beni essenziali, come acqua e terra, anche nella nostra penisola».

In sintesi Maurizio Martina ipotizza:

Pieter van der Heyden , La Cucina dei grassi (da Pieter Bruegel, The Elder, Fat kitchen – 1525/1530 –).

  • la «possibilità di promuovere nuovo “welfare2, mutualità e sussidiarietà a partire dalla terra e dal cibo»;
  • che da «…una nuova via per la ricerca sostenibile possa prendere piede un percorso di innovazione diffusa e che l’agricoltura italiana possa spingersi a disegnare una prospettiva di crescita insistendo su ecologia e digitale»;
  • che mediante «regole forti per mercati più giusti, di un’Europa che si faccia nuovamente progetto sociale e non solo vincolo e divieto» si possa riformare l’economia agro-silvo-pastorale ed alimentare.

Lo zappatore – “u zappatour” (Città e territorio, Gravina.it)

«Ciao ragazzi, nessuna paura, il futuro è vostro» Michelle Obama (ex first lady) e Maurizio Martina vi incoraggiano ad andare a zappare, ad unirvi al movimento «VàZapp’3». Sono giovani che «progettano, realizzano idee per valorizzare i prodotti agroalimentari, per aumentare la sostenibilità delle pratiche rurali, per innovare per costruire il futuro dell’Italia». Le progressive sorti del nostro Paese sono quindi nelle mani di agricoltori alternativi, pastori, addetti all’agroalimentare, camerieri, osti e quanti abbracceranno una delle 20 professioni del futuro. Non un accenno a professionisti, ricercatori, tecnici, personale specializzato d’ogni disciplina ed arte, perché lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese è fondato sul turismo,  l’agroalimentare e i servizi. Entusiasmante prospettiva di vita soprattutto se ci rendiamo conto che «l’esperienza agricola e alimentare italiana è una metafora4  del cambiamento possibile di questo Paese. Del suo modello di sviluppo, delle sue reti sociali, del suo modo di fare impresa, di educare, di proteggere e promuovere, di affermare pratiche di cittadinanza».
Sinceramente sono un po’ sconcertato da questa metafora, ma mi sforzo di superare l’innato scetticismo, perché la rivista «Forbes» ha già individuato «Gli under 30 italiani che stanno cambiando il mondo».
Tra le 50 persone che «potrebbero salvare il pianeta» c’è anche il Fondatore di Slow Food (Carlin Petrini) «l’unico italiano inserito nel gennaio 2008 dal quotidiano inglese Guardian» in questa prestigiosa lista.
A questi baldi giovani va il plauso e l’augurio di un rapido globale successo nella realizzazione di questa ciclopica impresa.

Ed ecco l’ex-Ministro Martina illuminato dalla scoperta che

Il Pensatore

Auguste Rodin, Le Penseur (1904) – Musée Rodin, Parigi.

«La storia non si fa con i Se o con i Ma, la storia si fa con i 5»  ci presenta Giuseppe6 ;   Enrico7Stefano8Carlo9;   Osvaldo10 ;  e, infine, Ida11  «giovani che stanno scommettendo sul loro talento e, come altri coetanei, hanno bisogno di incontrare dei , che li aiutino a rendere concreta un’idea, spesso una semplice intuizione.

Albert Einstein & Jerro e Caro (26 e 24 anni, Firenze), musicisti pop fondatori di “Celluloid Jam”.

«Rappresentano in effetti una nuova classe di giovani creativi rurali, innovativi e dinamici tanto quanto le nuove professioni creative metropolitane in ascesa, quelle dei designer o dei social media manager che siamo abituati a leggere sui giornali o a vedere in tivù».

Questi giovani «innovatori», ricorrendo al progetto «Terrevive12»,  hanno dato vita a «innovative13» imprese agricole,  convalidando i radiosi orizzonti di vita offerti dall’agroalimentare e dai servizi connessi.
Bravi, intraprendenti giovani con famiglie più o meno radicate nel mondo agricolo e certamente non prive di mezzi finanziari, se possono aiutare i loro figli nell’acquisto di 88 ettari di terreno in provincia di Siena per esercitare la pastorizia con annesso caseificio, o assistono  la loro figlia Ida nel realizzare 35 ettari di serre per produrre insalatine (baby leaf) per la McDonald’s.
Miracolosa poi la capacità di Stefano di raccogliere in pochi giorni più di 500.000 euro per recuperare un mulino a pietra e macinare i grani tradizionali nella Vallata di San Floro (comune di 699 abitanti della provincia di Catanzaro).

Icona “San Floro e Lauro” (Novgorad XV sec.)

Sia gloria a San Floro e al gemello Lauro, che dopo aver per secoli protetto le valligiane colture di fichi, dedicano oggi le loro benefiche cure al grano e alle farine storiche14.
Come non ammirare Carlo15  che da 40 semi di mais nero (2011) ha ottenuto in 15 anni (2016) 750.000 piante e ora produce ghiottonerie alimentari ricercate da rinomati “gourmets16”  italiani e europei.
L’invenzione di inesistenti tradizioni gastronomiche italiane risalenti a tempi antichissimi fa parte del fenomeno della «Tradizione inventata» descritto da Eric Hobsbawn17. Ormai non c’è prodotto agroalimentare “scoperto” da «Slow Food» o etichettato  con qualche sigla di tipicità o artigianalità territoriale (DOP, IGP, ecc.) che non si fregi di immaginifiche inventate origini.
Alle fantasiose tradizioni storiche si accoppiano il “gusto” per manifestazioni kitch (come il “Graduation Day” della «Università degli Studi di Scienze Gastronomiche» – Pollenzo), le immaginose origini di specie vegetali (il “mais morado” degli altopiani del Perù in via di estinzione presso la comunità di Choquecancha), le fantasmagoriche proprietà benefiche o addirittura le magiche virtù del “naturale” e del “genuino”18.
Si tratta di orpelli propagandistici per abbindolare i consumatori, convinti che l’acquisto di un particolare prodotto sia non solo una banale necessità alimentare, ma anche un’eletta esperienza gustativa con la funzione sociale di salvare la biodiversità, le storiche arti artigianali, l’economia di un particolare ambiente, la Natura nel suo complesso. Insomma si tratta sempre di prodotti o costumi alimentari che possono redimere dalle miserie terrene, salvare la nostra identità, accrescere il benessere fisico e spirituale nostro e del Pianeta intero19.
Scopo di questo appassionato sostegno del Mipaaf alla “tipicità”,  alla “italianità”, alla “storicità” dei prodotti agroalimentari mediante etichette  e denominazioni, riferite a provenienze di storica bellezza ed arcaiche lavorazioni, è quello di dare l’illusione al consumatore di disporre di cibi sani, genuini, naturali, di antica nobile origine e storica fattura.
Tutto questo è certificato e attestato da etichette, depliants, ed accattivanti immagini, ed è poi ratificato con l’emissione di rigorose leggi ed editti che comminano pene e supplizi inenarrabili per i frodatori o gli imitatori. Come se non bastassero i disagi e le seccature quotidiane a causa di servizi inefficienti e di una burocrazia totalizzante ed autoreferenziale, che prospera nella giungla di regolamenti che ostacolano la funzionalità aziendale e costituiscono un aggravio finanziario insostenibile per i piccoli e medi produttori (cioè la stragrande maggioranza delle aziende agroalimentari italiane). Intanto i servizi sanitari di prevenzione e controllo, privati di fondi, carenti di personale e di specialistiche strutture di analisi, paralizzati da una farraginosa complessa (spesso contradditoria) legislazione e dalla confusa attribuzione di competenze e funzioni, sono impotenti nell’arginare l’immissione sul mercato di prodotti adulterati e talvolta addirittura nocivi20.
Le recenti vicende legate all’operazione «sinBIOsi21»  di accertamento dei prodotti “biologici”, e le frequenti  irregolarità di certificazione stanno a dimostrare che iI controllo dei prodotti agroalimentari non può essere interamente demandato a società che svolgono questo servizio, ma deve essere affiancato da un adeguato sistema di controllo e di vigilanza da parte degli enti pubblici e dei consumatori22.
I controlli agroalimentari riguardano un’ampia gamma di fattori (sanitari, biologici, nutrizionali, produttivi, finanziari, ecc.) e richiedono un organizzazione di tipo multidisciplinare con articolazioni locali e non possono diventare prerogativa esclusiva del Mipaaf e dei “Carabinieri forestali”. Gli ambiti e le tipologie di controllo (sanitario, organolettico, tipologico) dovrebbero essere rigorosamente definiti per evitare conflitti di competenza, contestazioni e interferenze di mercato. Questo può avvenire solo dotandosi di personale specializzato e di adeguate, moderne strutture tecniche e analitiche con funzioni e competenze differenziate ed articolate in base alla specificità delle funzioni.
Il «made in Italy» e le svariate certificazioni, sostenute enfaticamente dal Mipaaf, non sono garanzia di qualità o di qualsivoglia virtù gastronomica o di una intrinseca specialità organolettica e sanitaria, sono piuttosto una testimonianza della debolezza ed arretratezza dell’economia agro-silvo-pastorale, che non è competitiva a causa degli arcaici rapporti di produzione, caratterizzati da aziende di mediocri dimensioni, scarsamente capitalizzate, condotte da manodopera anziana, spesso con una ridotta scolarizzazione e impossibilitate ad applicare innovazioni tecnologiche per la loro  precaria situazione finanziaria. A questo si aggiunge un’impressionante inadeguatezza dei servizi connessi alla produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agroalimentari.

Manifesto fascista per propagandare l’autarchia.

Si sta diffondendo l’illusione che l’economia agroalimentare possa progredire attraverso una sorta di  “autarchia” alimentare fondata sul mito della bontà e superiorità dei prodotti locali rispetto a quelli di provenienza esterna e si sta dando vita a fittizie “rendite di posizione”, basate sull’origine territoriale oppure sull’applicazione di tecniche produttive fantasiose, antiscientifiche («agricoltura biologica», «biodinamica», «agro-ecologia», «agricoltura naturale», ecc.).

I giovani imprenditori agricoli (assistiti), i diplomati in “Gastronomia” (assurta ormai a “Scienza”) e le emblematiche “eccellenze” imprenditoriali  possono dare l’illusione di un rafforzamento dell’economia agroalimentare e della riduzione della disoccupazione, ma si tratta solo di fenomeni contingenti in quanto non conseguenti ad un potenziamento delle strutture produttive agro-industriali e a processi di innovazione tecnologica23.
L’unico dato positivo è che sono raddoppiati i fondi UE per il ritorno dei giovani alla terra. Ora si può sperare che questi fondi siano distribuiti equamente, dando conto del processo e dei criteri di assegnazione, e non si limiti a finanziare le imprese agricole italiane condotte da “under 35“(anni) che sono solo il 3,4%  (55.121 su 1.620.884)24.

Iniziativa “Fattore Futuro”, patrocinata da McDonalds.

«Fattore Futuro» è un «progetto di innovazione e di sostenibilità» nato per aiutare i giovani agricoltori a sviluppare le loro aziende. Di recente McDonald’s, con il patrocinio del ministero delle Politiche agricole, ha individuato 20 imprenditori (under 40) operanti in varie “filiere” (carne bovina, carne avicola, grano, insalata, patata, frutta, latte) che saranno inclusi nel sistema di fornitori McDonald’s. Otto dei prescelti sono «Giovani di Confagricoltura» e il 40% dei selezionati è titolare di un’impresa agricola in grado di fornire i propri prodotti a McDonald’s, nei prossimi tre anni. Di una cosa si può essere certi: che questi giovani  cureranno egregiamente l’«innovazione e la sostenibilità per la propria impresa» e saranno ben felici di partecipare anche in futuro a consimili iniziative supportate dal Mipaaf.

Ai ricchi sempre più soldi e potere, ai poveri sempre più affanni e disgrazie.

Si ha l’impressione che i giovani agricoltori aderenti all’iniziativa «Fattore Futuro –  Giovani Agricoltori» (sponsorizzata da McDonald’s) o anche altri «ragazzi e ragazze (under 40)», partecipanti ad analoghi progetti agroalimentari del Mipaaf, non siano del tutto privi di un consistente bagaglio patrimoniale,  che garantisce loro sicurezza economica e prestigio sociale. Se si esaminano i risultati del concorso ISMEA “Nuovi Fattori di successo” (2018) si nota che gli imprenditori premiati sono per lo più titolari di affermate aziende agricole in prevalenza “biologiche” 25.
Nel febbraio 2016 il Ministro ha presentato il piano «Campolibero» per l’occupazione giovanile, che, secondo il proponente, doveva garantire loccupazione  di 100mila giovani nel settore agroalimentare26.
Ovviamente questa ottimistica valutazione della probabile occupazione giovanile in agricoltura si è rivelata erronea, come del resto è avvenuto anche per altre previsioni economiche governative. Il leggero incremento occupazionale di giovani non è  attribuibile alle innovative iniziative del Mipaaf, perché i dati forniti dall’ISTAT fanno riferimento solo ai disoccupati registrati, includendo anche occupati stagionali ed immigrati27.  Purtroppo si è molto lontani dalla promessa (2014) di garantire l’occupazione a 100.000 giovani in agricoltura per superare la crisi economica.  Vanno comunque apprezzate le “buone intenzioni” ministeriali, ancorché troppo ottimistiche e forse non del tutto condivise dai giovani italiani.

Mipaaf, Campolibero: l’agricoltura ai giovani.

«Tra le migliaia di studenti che si stanno formando per  far crescere ancora di più l’agricoltura italiana e valorizzare i nostri territori», probabilmente solo un esiguo numero è in grado di raggiungere le vette produttive ed emulare le esemplari capacità imprenditoriali descritte. Ha fatto bene quindi il Ministro a presentarci questi esempi di intraprendenza e di attivismo, che trasmettono

Concerto di uccelli (Giphy). Walt Disney, Biancaneve (particolare).

«con passione idee percorribili che possono aiutare l’Italia a trovare la sua giusta via: per uno sviluppo sempre più sostenibile. Per un Paese più consapevole della sua unicità e della sua bellezza nel mondo. Per una società più equa e solidale».

Tra i soggetti che in virtù della loro forza di volontà e del loro spirito di sacrificio hanno ottenuto successo sociale, professionale o imprenditoriale nell’agroalimentare, Maurizio Martina segnala: Stefano Basile e i «ragazzi e ragazze» dello staff della Fattoria della Piana28;  le tenute della famiglia Lunelli (proprietari degli spumanti trentini “Ferrari”) a Padernovo a Terriciola in Toscana (e non solo);  la prestigiosa cantina di Castello di Fonterutoli, nei pressi di Siena (proprietà Agnese Mazzei) ed analoghe “eccellenti” imprese agroalimentari, che tra l’altro hanno applicato l’«Agricoltura di precisione».

Tra le «eccellenze» beneficiate è segnalata anche  Bonifiche Ferraresi S.p.A.29.  «grande realtà agricola del paese tornata protagonista di progetti ambiziosi dopo troppi anni di stallo. Questa S.p.A. e ISMEA (l’istituto finanziario del Mipaaf) hanno stabilito una partnership «con l’obiettivo di diffondere queste nuove tecnologie in campo agricolo anche alle piccole e medie aziende.

Il CRA punta su tecnologia ed agricoltura precisione (marzo 2015, Micaela Conterio).

«La partnership che abbiamo presentato a Jolanda di Savoia, nel ferrarese, nel luglio 2017 alla presenza del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni punta a coprire da sola 145.000 ettari con servizi di agricoltura di precisione tra il 2018 e il 2023, un traguardo ambizioso ma possibile».

Forse è opportuno che il Ministro chiarisca agli ignari lettori di madrelingua italiana la natura di questa partnership (partenariato, se non erro), perché ne esistono di diversi tipi (persino il matrimonio è un contradditorio partnership) con specifici impegni economici, morali, e cosi via. Maurizio Martina dovrebbe chiarire agli ignari contribuenti quali impegni finanziari sono stati assunti da Ismea-Mipaaf con questa e con le altre «eccellenze» menzionate, perché ho l’impressione che i fondi pubblici destinati all’agricoltura siano un po’ troppo finalizzati al sostegno di realtà aziendali in eccellenti condizioni economiche e tecniche e per lo più aderenti a particolari organizzazioni professionali. Del resto anche i sussidi assegnati dall’Ismea a giovani imprenditori (Progetti: Campolibero, Futuro Giovani, ecc.) sono stati riservati a proprietari di aziende ben dotate di mezzi finanziari, trascurando le piccole e medie imprese agro-silvo-pastorali e alimentari che si trovano in pietosose condizioni tecniche e finanziarie.


Si tratta di modelli esemplari di imprenditorialità, di capacità innovativa, di successo economico e sociale che testimoniano l’enorme divario esistente nell’agricoltura italiana tra aziende capitalistiche moderne e la moltitudine di imprese agricole di piccoli e medi produttori a conduzione famigliare o para-famigliare con scarse capacità teniche e finanziarie per accedere ai mercati e all’innovazione.
Concentrare le azioni di sostegno finanziario prevalentemente in aziende agricole individuali già dotate di capitali consistenti e di moderni sistemi di trasformazione e commercializzazione dei prodotti porta ad una polarizzazione dello sviluppo rurale e rischia di marginalizzare i produttori agroalimentari che non fanno parte di «eccellenze» imprenditoriali e finanziarie. In mancanza di adeguate infrastrutture operative e finanziarie di supporto la stragrande maggioranza di aziende, che non gode di finanziamenti pubblici e di facilitazioni di mercato, continuerà ad avere costi elevati di produzione e, operando in un mercato oligopolistico, sarà soggetta alle condizioni economiche e finanziarie dettate dalle imprese di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti agroalimentari.

Osserva Maurizio Martina: «A oggi in Italia circa l’1% dei terreni è coltivato con tecniche «Agricoltura di Precisione»: «dai droni per analisi e mappatura delle coltivazioni, ai trattori guidati da satellite, ai sensori per il rilevamento dei fabbisogni di nutrienti per le piante». Dal momento che «Il controllo dei fattori produttivi attraverso le tecnologie dell’agricoltura di precisione e il loro collegamento in rete con sistemi di analisi dei “Big Data“, consentiranno di ottimizzare l’utilizzo delle risorse e ridurre gli sprechi», il lungimirante Mipaaf ha mappato queste esperienze e «realizzato, per la prima volta, delle «Linee guida per lo sviluppo dell’Agricoltura di Precisione».
Gli estensori di queste “linee guida”  hanno fatto certamente un buon lavoro, ma sono un po’ scettico circa l’applicabilità a breve termine di questa tecnologia su una significativa rete di aziende agricole per le precarie condizioni finanziarie e strutturali in cui versa larga parte delle imprese. Inoltre, mi sembra si dia troppo credito alle capacità di risolvere i problemi dell’agricoltura mediante i “Big Data” e altri strumenti informatici.
Non ritengo impellente «L’obiettivo […] di creare una piattaforma open source che raccolga ed elabori i dati di una rete interconnessa di macchine che operano in agricoltura di precisione […] Uno spazio virtuale, su base di dati reali e certificati, che possa dare indicazioni utili agli agricoltori per ridurre i costi, massimizzare le loro rese e valorizzare la qualità intrinseca delle produzioni …», perché ciò contrasta con le effettive capacità operative, tecniche e finanziarie della quasi totalità delle aziende agricole e col livello di sviluppo tecnologico ed informatico italiano e di gran parte delle nazioni europee.

La situazione attuale dell’agricoltura nazionale è illustrata da questo recente video (curato da Andrea Gualtieri) basato su dati dell’UILA (Unione Italiana Lavoratori Agroalimentare), dove si evidenzia il diffuso precariato degli addetti all’agricoltura, la carenza di mano d’opera giovanile, il positivo apporto di immigrati nelle attività agro-zootecniche, la pervasiva diffusione del “lavoro in nero30“.
La “Agricoltura di Precisione” merita certamente di essere studiata e valutata per le possibilità che può offrire per lo sviluppo di un’agricoltura intensiva, tenendo conto però che si tratta di sistemi ancora in una fase sperimentale (almeno nel nostro Paese e nell’UE). Essa deve però essere presentata all’opinione pubblica in maniera realistica, rigorosamente scientifica, evitando di diffondere false aspettative e miracolose soluzioni per l’agricoltura nazionale. Penso che molte innovazioni, quali l’utilizzo dei “Big Data” per l’agricoltura, delle stampanti 3D per la meccanizzazione agricola, dei droni per controllare dall’alto le caratteristiche pedologiche, dei robot per la raccolta dei prodotti e di altre “intelligenti” e “futuribili” invenzioni per aumentare la resa produttiva e ridurre i costi, si potranno presumibilmente applicare per alcune coltura e in aree ben definite solo in concomitanza di una radicale trasformazione degli attuali rapporti di produzione.

Don Chisciotte e Ronzinante, dipinto di Honoré Daumier.

Se Maurizio Martina pensa di rivitalizzare l’agricoltura italiana mediante investimenti in queste ed altre «eccellenti» aziende finanziariamente in grado di sostenere i costi della «agricoltura di precisione» e ritiene sia possibile «portare nei prossimi 5 anni le superfici trattate con queste tecniche dall’1% al 10%, facendo dell’Italia una protagonista assoluta di questo settore», penso si tratti di una pericolosa e assai dispendiosa farneticazione utopica.
In questo caso non si ha «… a che fare con i sensi e con le emozioni», assolutamente legittime dell’Autore che aspira a «mettere dei punti fermi e a immaginare il futuro», ma piuttosto siamo di fronte ad un preoccupante “sintomo di mania di grandezza” oneroso per i contribuenti su cui gravano gli “aiutini ministeriali” per sostenere aziende ed iniziative che nel complesso dell’agricoltura nazionale hanno una rilevanza piuttosto limitata e un «impatto» positivo trascurabile per lo sviluppo complessivo del settore.
Si sa che il risparmio energetico è tra gli obiettivi primari che il Mipaaf si è posto per la sua politica rurale. È auspicabile che queste entusiasmanti realizzazioni si accompagnino a rigorose valutazioni del bilancio energetico e dei costi della «agricoltura di precisione» in rapporto agli effettivi benefici (aumento della produzione unitaria, riduzione delle spese fisse e variabili, prezzi di mercato dei prodotti, ecc.).
A tal proposito, bisognerebbe evitare di parlare genericamente di aumenti delle rese produttive e di riduzione dei costi d’impiego di antiparassitari e fertilizzanti (sistema attuale di presentazione di nuovi ritrovati tecnologici), e dar conto del bilancio energetico,  dei costi di ammortamento e di gestione, compresi i contributi ricevuti da qualsiasi fonte31.
Il previdente ex-Ministro ha già «impiantato più di 5000 chilometri di fibra ottica nelle campagne, raggiungendo  circa mezzo milione di persone», e sa che «… dobbiamo fare molto affinché questa strategia diventi una priorità assoluta da oggi al 2020» […] «Anche perché Agricoltura 4.0 non significa solamente nuove macchine in campo e i loro futuri utilizzi: da “Internet of Things” ai dispositivi per il meteo e a tutti gli strumenti che attivano processi di miglioramento della qualità fino alla gestione dei dati»32.
Lungi da populistiche polemiche, mi permetto di osservare che «nel ranking dei paesi con copertura di fibra ottica33»  il nostro Paese è tra le ultime posizioni: con una copertura appena superiore all’1% della popolazione, dietro di noi vengono Croazia, Serbia, Germania ed Austria – che però ricorrono ad tecnologie sostitutive della banda larga34.
Il «Censimento dell’Agricoltura» (2010) registrava lo 0,04% di aziende con qualche tipo di informatizzazione. Se si ipotizza che la copertura della fibra ottica delle aziende agrarie sparse sul territorio sia la soluzione del problema dell’informatizzazione e della diffusione dei sistemi digitali in agricoltura, dobbiamo prefigurarci delle attese decennali o addirittura l’aborto di ogni applicazione dei sistemi digitali in agricoltura. Per i giovani che scelgono la vita di campo basta poter disporre in fattoria di un server, del software adeguato e di una copertura senza fili, tipo “Wi-fi/WiMax”, per operare egregiamente senza aspettare l’agognato collegamento mediante fibra ottica. A patto però che ricevano un’assistenza tecnica, finanziaria e culturale adeguata.
Permangono comunque molti dubbi sulle possibilità di realizzare il ventilato programma di applicare su larga scala la «Agricoltura di precisione» entro il 2020, sia per motivi finanziari sia per la mancanza di giovani agricoltori con un’adeguata preparazione informatica in grado di gestire questi complessi sistemi. Il Mipaaf d’altra parte non si è mai preoccupato di fornire ai giovani agricoltori  e anche ai meno giovani (la stragrande maggioranza dei titolari d’azienda) un’adeguata istruzione ed assistenza tecnica e ha sempre scaricato questa responsabilità, di volta in volta, alle Regioni, ad altri ministeri o ha fatto ricorso a collaborazioni esterne affidate ad enti spesso estranei al mondo agro-industriale.
Maurizio Martina intende affidare al CREA35 la sperimentazione e gestione di questi complessi sistemi tecnologici, senza peraltro rendersi conto che questo organismo, con la sua modesta struttura scientifica, gestita in modo burocratico-clientelare dal Mipaaf, con gran parte di ricercatori precari, ha difficoltà enormi nel realizzare  ricerche e sperimentazioni di base e programmi interdisciplinari di assistenza tecnica.

Le colossali catene di distribuzione che operano in un mercato globale sono già in grado di stabilire gli standard di produzione e di qualità, i prezzi e la tempistica delle consegne e dei pagamenti, condizionando le politiche agrarie ed alimentari di interi paesi o aree geografiche. Alcuni prodotti alimentari, come il frumento, il riso o la soia, sono monopolio degli USA, del Brasile e di altre nazioni dove da secoli è diffusa la monocultura su vasta estensione. È pressoché impossibile identificare specifiche «filiere» agroindustriali per la eterogenea composizione dei prodotti e per l’impossibilità pratica e finanziaria di “tracciare” la provenienza e le caratteristiche merceologiche che variano in funzione dei costi di approvvigionamento dei beni. Oltretutto ciò potrebbe risultare economicamente dannoso per le aziende nazionali fortemente dipendenti dall’importazione di ingredienti  transnazionali36.
È infatti un falso mito che il nostro Paese produca «100% di cibo italiano», perché vengono importate moltissime materie prime vegetali (grano, mais, soia, prodotti lattiero-caseari, carni, ecc.) e si lavorano prodotti in altri paesi (caffé, cacao, oli vegetali, ecc.) che sono poi riesportati.

Autosufficienza alimentare italiana (Fonte: Eleonora Viganò, “Il fatto alimentare” – 2014. Tabella: Coop. Foto: photos.com)

Roberto Tuberosa, professore ordinario di Genetica Agraria dell’Università di Bologna, ha evidenziato «il ritardo che l’economia nazionale sta accumulando nei confronti del mondo dell’agricoltura e delle piante» è dovuto al fatto che «Le produzioni agroalimentari e agroindustriali italiane dipendono per oltre il 50% dall’importazione di materie prime vegetali dall’estero. Un gap che si è ulteriormente allargato per il modesto investimento in ricerca del nostro paese, (pari all’1% del Pil), che colloca l’Italia non solo dietro a Francia, Germania e Regno Unito, ma anche ben al di sotto della media europea (1,93%)».

Acquistare prodotti italiani (Manifesto a sostegno della politica autarchica di Mussolini).

In un sistema agroalimentare globale la difesa dei prodotti nazionali mediante controlli di «filiera»,  denominazioni controllate o con attestati di origine o genuinità è pressoché impossibile a meno di ipotizzare il ritorno a sistemi autarchici di micro-produzione o a sistemi protetti di mercato. Il libero mercato globale in agricoltura e in altri settori produttivi è destinato a produrre concentrazioni monopolistiche e ad accentuare l’indirizzo e il controllo dei consumi alimentari. A partire dagli anni 80, il sistema agroalimentare è diventato così complesso e articolato che è praticamente impossibile stabilire l’origine dei materiali utilizzati nei processi produttivi (input) e gli stessi agricoltori non conoscono la destinazione finale del loro prodotto né il consumatore è libero di scegliere i prodotti a causa della pervasiva condizionante propaganda commerciale.
Le «filiere» dal produttore alle imprese di commercializzazione o di trasformazione  sono un potente sistema di controllo dei modi di produzione e dei prezzi dei prodotti agroalimentari a causa della posizione dominante del distributore o dell’industria di trasformazione. Di fatto questo sistema è in grado di condizionare gli indirizzi agroalimentari a livello globale e, come si è già assistito, di innescare serie rivolte dei produttori, soprattutto dei più deboli.  A causa della frammentazione dell’offerta e della mancanza di infrastrutture logistiche adeguate, i piccoli e medi agricoltori non hanno alcuna forza contrattuale per stabilire il tipo, l’entità, le modalità di fornitura, e il prezzo d’acquisto dei loro prodotti37.
La pochezza delle pubblicazioni, la banalità dei materiali divulgativi e le propagandistiche manifestazioni mediatiche sono l’emblematica testimonianza del generale disinteresse per la cultura agro-biologica. Se consideriamo che il livello di istruzione dei titolari delle aziende agrarie, rilevato nel Censimento ISTAT (2010), evidenziava un’infima presenza di tecnici specializzati nella conduzione aziendale e un’istruzione nel complesso piuttosto modesta, si può tranquillamente affermare che il programma ministeriale di informatizzazione dell’agricoltura è velleitario e propagandistico.

Informatizzazione aziende agricole (Istat – Censimento agricoltura 2010).

Negli otto anni che ci separano dal “Censimento” la situazione sarà certamente cambiata, ma il Mipaaf non ha prodotto dei dati  aggiornati su questo tema. Penso che in realtà questo problema non sia stato nemmeno affrontato e, se si ha una visione realistica della situazione agricola del Paese, che sia utopico e scioccamente presuntuoso ipotizzare l’applicazione delle tecniche di avanguardia descritte sul 10% delle aziende italiane.
Mi permetto anche di evidenziare che tutte le sperimentazioni d’avanguardia descritte ben di rado sono corredate da un’analisi dettagliata dei costi fissi e variabili (compresi gli investimenti agevolati da fondi europei) sostenuti per incrementare la produzione di derrate alimentari (Commodities), le quali hanno prezzi molto volatili sui mercati internazionali causati da fattori ambientali, da manipolazioni finanziarie e da posizioni di monopolio. Questo vale in particolare per il mercato dei cereali dominato dagli Stati Uniti, primo esportatore mondiale di mais e di grano e terzo esportatore di soia. Gli USA sono fortemente competitivi grazie alle sofisticate infrastrutture di valutazione del mercato e sono in grado di regolare le operazioni di vendita a termine (futures38).
Queste azioni speculative su beni agroalimentari vitali (Commodities), che sono trattati alla stregua di qualsivoglia merce o servizio scambiabile sul mercato, hanno generato gravi crisi alimentari o addirittura vere e proprie “carestie” nei paesi più bisognosi.
Carlin Petrini (Fondatore di SlowFood) osserva acutamente che «Il problema più grande è la perdita del valore simbolico dei cibi. Sono diventati commodities, beni di consumo senza anima» Forse per questo il motivo egli, assieme a Stefano Mancuso39,  sta cercando di «far nascere una nuova visione della Terra» dal «fertile scambio di idee tra gastronomia per la liberazione e le scienze botaniche» e ha attivato un “Master sul futuro vegetale” con la partecipazione dei illustri rappresentanti della “NewAge” agricolo-biologica40.

Nel capitolo «Una nuova generazione agricola» si riportano dati confortanti sull’iscrizione alle scuole primarie, secondarie e universitarie dell’agroalimentare, tali da indurci a credere che nell’immediato futuro avremo un settore agroalimentare dotato di tecnici e ricercatori con un eccellente livello di preparazione41.

Tab. 2. Titolo di studio del capo azienda (Censimento ISTAT 2010).

Purtroppo, per esperienza professionale, so che una ragguardevole parte degli iscritti abbandonano i corsi universitari di scienze agrarie, forestali, veterinarie e alimentari, oppure indugiano come fuori-corso e un gran numero di laureati e diplomati esercita attività diverse da quelle prescelte o svolge mansioni di scarso rilievo. È noto che il Mipaaf svolge ben poche indagini “di campo” e le statistiche che fornisce sono approssimative oppure obsolete. Mi permetto quindi di suggerire al Mipaaf di migliorare il sistema di raccolta dati concernenti l’occupazione giovanile nel settore agro-silvo-pastorale ed alimentare, adottando sistemi scientifici di campionamento e di analisi, magari facendo ricorso a specifiche istituzioni di ricerca e di valutazione selezionate in base alla professionalità e serietà investigativa. Questo suggerimento vale anche per le ricerche di mercato, per le indagini sulla produzione agraria, sui prezzi dei prodotti agro-alimentari, ecc., in modo da fornire un quadro realistico (soprattutto attuale) della situazione agro-alimentare italiana42.

Navigando nell’ampio mare informatico “Internet”, apprendo che i produttori di pomodori “Pachino” (IGP) non effettuano la raccolta perché il ricavato dalla vendita (€ 0,30/0,40 o al massimo 0,50 al kg) non copre i costi di produzione. Questo è dovuto, secondo gli addetti della “filiera pomodoro” alle elevate importazioni di questo prodotto da paesi con redditi miserabili e disumane condizioni di vita.
Altri agricoltori si lamentano per gli esigui guadagni dei latticini, della frutta, della carne, del grano duro, dell’uva, delle fragole e così via. Insomma continue lamentele dei contadini, degli allevatori, dei pastori e anche da parte dei precari impiegati nella ristorazione e nei servizi agro-alimentari (in crescita, secondo la “vulgata” corrente). Accanto alla de-localizzazione di attività industriali e alla creazione all’estero di di impianti che esportano i loro prodotti in patria, si assiste anche a massicci investimenti nel settore agricolo (Africa, Asia, America latina) per produrre derrate alimentari o biocombustibili per i paesi dove si concentra un po’ di benessere.
Questo fenomeno, grazie alla liberalizzazione dei mercati è destinato a crescere perché, come si è visto nel caso del pomodoro «Pachino», le reti di distribuzione preferiscono importare pomodori – in questo caso dal Camerun – più economici di quelli prodotti nell’area IGP (indicazione geografica protetta) o DOP (denominazione di origine protetta)43. La congerie di etichette, certificazioni, capitolati, norme identitarie di origine, provenienza, ecc. create e imposte per i più disparati prodotti agroalimentari nazionali è di  scarso ausilio nella salvaguardare della produzione agro-alimentare, perché il business è nelle mani di pochi e alla Fiera di Verona (2018) un coro di produttori si è lamento per la scarsa salvaguardia dell’italico gusto agroalimentare malgrado il dispendio di energie. Analoga situazione si verifica per altri prodotti agricoli ed è sufficiente una visita ai supermercati per constatare che molti prodotti ortofrutticoli (e non solo) provengono da lontani paesi, meno sviluppati e con minori vincoli legislativi in materia di sicurezza e di garanzie sul lavoro. Prodotti che, malgrado la remota provenienza, sono decisamente meno costosi e talvolta qualitativamente migliori di quelli locali o biologici44. Purtroppo sembra che questa rosea prospettiva sia solo un Italian dream (sogno all’italiana), mentre i piccoli (e medi) produttori lottano perché i pagamenti vengano liquidati entro trenta giorni dalla fornitura, come stabilito dall’UE45.

Nel Dopoguerra i contadini volevano la “terra” e l’hanno avuta (magari non della migliore) grazie alla “riforma agraria” (riforma vantaggiosa per redditieri e capitalisti, assai poco per i contadini). Queste conquiste costarono lutti e grandi sacrifici, basti ricordare l’eccidio mafioso di Portella della Ginestra del “Primo Maggio 1947 e poi tutte le lotte dei braccianti e dei contadini per una vita dignitosa che si sono susseguite fino ai giorni nostri violentemente represse con centinaia di morti. La malavita (camorra, ‘ndrangheta e simili) continuano a spadroneggiare nell’agricoltura e nell’agroalimentare e «la lotta alle agromafie e al falso cibo» non sta conducendo un’azione di contrasto all’altezza della gravità del fenomeno e della sua diffusione in Italia e in Europa. Va però dato atto del lodevole impegno del ex-Ministro Martina46 a far fronte alla criminalità nel settore agroalimentare, perché «Camorra, Cosa Nostra, ‘ndrangheta sono state ancora una volta capaci di anticipare i tempi e ormai hanno messo le mani su un businnes, quello dell’agroalimentare, il cui giro di affari si attesta attorno a 14 miliardi di euro all’anno , 7 dei quali provenienti dalla produzione agricola».  Per questo «Ogni giorno il Mipaaf è impegnato con i suoi organismi di controllo, dai carabinieri forestali all’Ispettorato repressioni frodi fino alla Guardia costiera, in una dura e assidua lotta contro queste attività criminali». Egli ricorda il fenomeno del caporalato,  i crimini degli agrari che impongono condizioni schiavistiche di lavoro, le truffe sui prodotti agroalimentari, le «filiere sporche», le aggressioni e le minacce per impedire il sequestro e la gestione dei beni della mafia. Non si può che condividere l’azione di contrasto all’economia del crimine il cui «giro d’affari tra agro-mafie e caporalato si attesta tra i 14 e i 17,5 miliardi di euro47.
I controlli sul fenomeno del caporalato, sulle truffe alimentari sono certamente utili, ma è necessario instaurare un maggior controllo finanziario sul riciclaggio, sull’accaparamento di terreni agricoli e di risorse ambientali, sugli appalti pubblici e soprattutto sulla pervasiva corruzione spesso agevolata da amministrazioni conniventi.
Ritengo che la lotta alla criminalità organizzata e alla pervasiva corruzione nel campo agroalimentare ed ambientale non sia all’altezza della gravità del fenomeno. Si fa troppo spesso ricorso a retoriche petizioni di principio e minacciosi provvedimenti repressivi, a controlli polizieschi ed amministrativi inattuati per complicità politiche ed amministrative e sociali a tutti i livelli. La recente vicenda del Parco dei Nebrodi e la decisione della Giunta regionale siciliana di pensionare anticipatamente il suo direttore, Giuseppe Antoci è  emblematico esempio di trascuratezza del Mipaaf nell’affrontare il grave problema dell’accaparramento delle terre da parte delle organizzazioni mafiose e della perdita di controllo su intere regioni. Scrive Maurizio Martina: «Nel maggio 2016, un gruppo armato assalta la sua auto a colpi di mitra. Lo salva la sua scorta….Nell’estate del 2017 le minacce proseguono con un falso pacco bomba vicino alla sua abitazione». «L’attentato e le intimidazioni a Giuseppe sono legate al protocollo che ha siglato con la prefettura di Messina, che prevede l’obbligo per i concessionari dei terreni demaniali di presentare un certificato antimafia anche per quelli sotto il valore di legge di 150.000 euro. Una decisione semplice, che ha mandato all’aria i piani dei mafiosi che parcellizzavano le concessioni proprio per non incappare in questo vincolo e incassare così senza problemi i fondi».
L’ ex-Ministro Martina conosce personalmente Giuseppe Antoci, pesantemente aggredito dalla mafia, sa che i provvedimenti presi per il Parco dei Nebrodi, il cosiddetto «protocollo Antoci», sono validi strumenti di lotta alle infiltrazioni mafiose nell’agroalimentare anche a livello nazionale, sa che alcune ONG (Libera, Caritas e altre associazioni) sono soggette ad intimidazioni e violenze perché gestiscono i beni sequestrati alla mafia, sa che molti appalti e progetti finanziati dalla Ue sono gestiti dalla criminalità. Il Mipaaf, sa che è necessario «… far dialogare di più le istituzioni, con controlli diretti nelle banche dati pubbliche, senza gravare di nuovi oneri burocratici le imprese in regola». Pur essendo vigile e «allertato» la reazione del Ministero (e del partito di cui Maurizio Martina era sottosegretario) è stata piuttosto blanda (diciamo sottotono) e non ha valutato appieno la gravità di questo atto amministrativo che sconfessa una coraggiosa iniziativa contro la criminalità organizzata. Purtroppo è costume ormai generalizzato denunciare a gran voce delitti criminosi, minacciare un gran fracasso e poi acquietarsi in questa immobile esasperante “bonaccia” dove niente si muove.

Migrazioni italiane dell’800 (InfTub.com)

Quando la «riforma agraria» non è bastata più per sopravvivere nel nostro Paese, è iniziato il grande esodo dalle campagne e dalle montagne: la tragica «Emigrazione italiana». Paesi interi abbandonati, campi incolti, montagne erose, alluvioni, drammi di ogni genere, ovunque morti sul lavoro per sostenere con le «rimesse» le famiglie abbandonate.

Nel 1951 il 42,2% della popolazione lavorativa rientrava nella categoria «agricoltura, caccia e pesca» (nel Sud 56,9%) e, se si escludono le aziende agrarie della Pianura Padana,  i tassi di crescita erano «inferiori a quelli dell’Jugoslavia o della Grecia». «I giovani contadini erano sempre meno disposti a seguire le orme dei propri genitori; i proprietari vedevano diminuire sia i loro profitti sia la loro autorità; gli alti prezzi del mercato della terra li spingevano a vendere, il più delle volte alle famiglie mezzadrili48.

Questo esodo è proseguito fino agli anni sessanta del cosidetto boom economico, quando c’è stato un rientro dall’estero di lavoratori attratti dalle possibilità di impiego nelle aree industrializzate. Con la crisi economica è ripreso l’esodo in altri paesi. Nel decennio 2005-2014, partivano in media 87mila italiani, negli ultimi due anni, il numero  è raddoppiato. Idos stima che 285mila italiani siano emigrati (2016), mentre nel dopoguerra erano 300mila. Attualmente gli emigrati italiani superano gli immigrati che giungono nel nostro Paese (181mila nel 2016). Per quanto riguarda il livello di istruzione: nel 2002 il 51% era in possesso della licenza media, oggi la percentuale è scesa al 30%, mentre sono aumentati i diplomati (34,8%) e i laureati (30%).

Emigrazione italiana

Quest’esodo non accenna a diminuire e i «ragazzi e ragazze (under 40)» hanno ripreso la strada per altri paesi nella speranza di un futuro meno precario di quello offerto in patria.
I padri e i nonni sono fuggiti dalle campagne e oggi si auspica il ritorno dei figli e dei nipoti per intraprendere un’arcadica vita campestre in un paese dove la disoccupazione giovanile si aggira attorno al 36%. Il Mipaaf accompagnato da un coro di imbonitori mediatici sollecita le «ragazze e i ragazzi» volonterosi e intraprendenti  a sviluppare nelle terre demaniali, nei coltivi abbandonati, nei desolati borghi sparsi in ogni dove del Bel Paese, l’agricoltura «bio-ecologica», «bio-dinamica», «bio-non_so_che», «digitale», di «qualità» garantita e protetta dai marchi DOP, IGP, STG (elenco aggiornato 2018), competitiva e aperta al marketing internazionale.  Li si invita a rivitalizzare la pastorizia sulle franose montagne, a riaprire i tratturi e produrre formaggi DOP e prodotti lattiero-caseari (soggetti a rigide, costose regole di certificazione49.
Appassionato cultore di etichette alimentari e di marchi di origine, provenienza, autenticità, il Mipaaf sottopone i neonati “Carabinieri forestali” all’arduo compito di controllare e discernere il prodotto “vero” da quello “falso”, “menzoniero”, “adulterato” o “fraudolento” per competere ed affermarsi nel mitico marketing agroalimentare internazionale.
È probabilmente vero, che nel 2017 si è avuto un leggero aumento dell’esportazione di prodotti agroalimentari, ma questo incremento non ha compensato le perdite di quote di mercato degli anni precedenti.

Export Agroalimentare italiano (2017)

Il comparto agro-alimentare dopo anni di ristagno (2013-2016,  132 miliardi di euro) ha una crescita stimata per il 2017 del 2,5% (135 miliardi di euro), con importazioni in crescita (+8% stima 2017 rispetto al 2016, anno nel quale si era registrato -0,3%). Rispetto agli altri paesi europei (Germania, Olanda, Francia) non ha una dinamica comparabile e molte aziende sono state assorbite da grandi consorzi che controllano il mercato internazionale50.

Bilancia commerciale prodotti agroalimentari dal 1970 al 2010 (Fonte: Ismea/Ixe, 2017)

Vien spontaneo chiedersi se la politica delle etichette alimentari, delle certificazioni di provenienza, dei brevetti e copyright sia un valido sistema per proteggere i prodotti agroalimentari nazionali, per sviluppare il settore e stare al passo con la concorrenza mondiale. Mi sembra che si stia sottovalutando l’importanza di creare anzitutto un clima di fiducia per l’agroalimentare, che si caratterizza, soprattutto per i piccoli e medi produttori (la maggioranza delle aziende italiane) per gli elevati rischi e i margini economici piuttosto contenuti. Per certe categorie, sono insufficienti, se non del tutto assenti, dei sistemi di tutela dai rischi economici ed ambientali (difesa dalle avversità biotiche ed abiotiche, fluttuazioni di mercato, ecc.) e di sostegno finanziario, creditizio, e tecnico per garantire rimuneratività. Si fanno generici accenni al problema del potenziamento delle infrastrutture logistiche (trasporti, refrigerazione, trasformazione, ecc.) e alla rete di servizi necessari per migliorare la produzione e favorire la commercializzazione, ma nel complesso si realizza ben poco.

Il Mipaaf ha trovato la formula magica della «filiera», che dovrebbe essere possibilmente «corta» e «trasparente», ma, al di là dell’imbonitrice seduzione di questo termine, ben poco si è fatto per migliorare e potenziare i sistemi logistici controllati direttamente dai produttori associati e per superare l’attuale frammentazione dell’offerta. È noto che la grande distribuzione non compra i prodotti ai mercati generali, ma attinge direttamente da fornitori particolari che costituiscono delle filiere autonome, certificate e non soggette alla concorrenza.  La difesa mediante marchi di provenienza e qualità, con la certificazione del «made in Italy» in un libero mercato globalizzato non basta a garantire i produttori dai rischi ambientali, dalle manipolazioni finanziarie del libero mercato (multinazionali dell’agro-businnes, trattati commerciali, protezionismo, ecc.), né si può pensare che l’agricoltura nazionale possa far fronte alle richieste dell’agro-industra nazionale o dei consumatori metropolitani. Un altro aspetto che è del tutto trascurato da Martina è quello della pervasiva infiltrazione della criminalità organizzata nei mercati generali, nel controllo del sistema logistico di distribuzione e vendita dei prodotti ortofrutticoli da parte di organizzazioni mafiose che taglieggiano i piccoli produttori, incapaci di reggere ai ritardati pagamenti, al rigetto e distruzione di prodotti, ai “pizzi” e “tangenti” esercitati da una varietà di intermediari, speculatori e soggetti malavitosi. In quest’ambito si registra un situazione ancor peggiore di quella denunciata negli anni ’60 da Ernesto Rossi, Sylos Labini e molti altri economisti sulla concorrenza dei mercati e le complicità politiche con la malavita organizzata51.

Forse i giovani intraprendenti, ma con pochi mezzi, preferiscono emigrare, fare gli addetti all’agro-alimentare o semplicemente i camerieri in città dove almeno c’è un po’ di movida e vita sociale (non dico “culturale”, perché su questo argomento ci sarebbe troppo da discutere). Non tutti possono coltivare il gusto assieme a Carlin Petrini (Slow Food)52  partecipare ai festeggiamenti “gastro-culturali” in programma per il 2018 (Anno nazionale del Cibo italiano), perché, come attestano le statistiche la stragrande maggioranza dei cittadini a causa dei bassi redditi e dell’elevata tassazione (diretta e indiretta) ha ridotto considerevolmente anche i consumi alimentari, che sono regrediti ai minimi registrati nel 1981.

Dinamica degli acquisti agroalimentari (Elaborazioni Ismea – Nielsen, 2017)

Maurizio Martina ha «proposto, primi al mondo, ai più grandi player mondiali dell’e-commerce di dare ai nostri marchi geografici DOP e IGP, la stessa tutela contro il falso che garantiscono ai brand commerciali». È piuttosto strano che tutta la politica agraria del nostro Paese sia focalizzata sulla difesa dell’agroalimentare attraverso  etichettature e l’esaltazione dell’italianità o “territorialità” dei prodotti, stabilendo regole sempre più stringenti sulla loro produzione e commercializzazione54

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi a Vinitaly con Jack Ma, fondatore di Alibaba e Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, festeggiano la vendita del vino italiano nella catena di distribuzione agroalimentare cinese (foto: Tiberio Barchielli).

È evidente la soddisfazione del ex-Primier e del ex-Ministro per l’acquisto di vino italico da parte di un importante supermercato cinese (i cinesi sono tanti e gli “enofili” ancora pochi). Anch’io sono soddisfatto per questa conquista, e orgoglioso di vedere membri influenti della Repubblica nei panni di abili propagandisti dello “agribusinness made in Italy“. Ho tuttavia dei dubbi che il «made in Italy» e i servizi a minor contenuto tecnologico, come il turismo, la ristorazione, l’agroalimentare, l’agricoltura bio- e i prodotti DOP, IGP, o a «chilometro zero» possano reggere l’economia del nostro Paese.
A partire dagli anni ’70 si sono smantellate le principali industrie metalmeccaniche, elettroniche, chimiche e agro-industriali (IRI, Ansaldo, Nuovo Pignone, Fiat, Cirio, Parmalat, ecc.) dimenticandosi che è proprio la struttura industriale che garantisce l’affermazione e la crescita del Terziario. Se si continua a tagliare lo stato sociale (educazione, assistenza, sanità), a comprimere i salari, aumentare le imposte e moltiplicare il denaro con il denaro si creeranno solamente dei  lavoratori poveri e la ricchezza si concentrerà in pochi.
Già adesso nell’agroalimentare, nell’industria alberghiera, nella ristorazione e nei servizi connessi i salari si aggirano tra i 4 e i 6 euro lordi all’ora, e spesso sono “in nero”.  Luciano Gallino aveva già segnalato che:

Uno degli errori dei governi italiani, ma anche di molti amministratori locali e di non pochi economisti, è stato quello di sottovalutare l’importanza di mantenere una solida base industriale. Tant’è vero che mentre la Germania, la Francia, perfino il Regno Unito… possiedono venti/trenta grandi imprese industriali tra le prime cinquecento nel mondo e la Svizzera ne conta sei o sette. L’Italia ne ha ormai due o tre. In effetti il Regno Unito, ad onta dell’elevato tasso di de-industrializzazione di cui abbiamo appena detto, a fianco del suo poderoso settore finanziario ha conservato dei giganti industriali in misura due/tre volte superiore all’Italia55».

Finanziamento assistenziale della ricerca pubblica: dare agli istituti di ricerca e sperimentazione agro-silvo-pastorale e alimentare (CREA) il 5‰, come beneficenza per il servizio svolto.

 

Ovviamente Maurizio Martina ritiene «decisivo che l’Italia aumenti gli investimenti» nella ricerca agricola.

 

Walt Disney, Pinocchio bugie.

Per questo obbiettivo mi sono battuto e mi batterò ancora.
«Per il nostro CREA ci impegnamo nella stabilizzazione dei cinquecento ricercatori, soprattutto giovani e donne, che ormai da troppi anni lavorano in modo fragile e precario. Impostiamo un piano triennale utile a uscire da questa situazione perché è difficile immaginare di investire su ricerche ambiziose e di medio periodo, mettendoci il massimo sforzo e tutte le energie, se proprio i protagonisti di tutto questo sono costretti a cercare ogni dodici mesi qualche elemento di certezza per i propri stipendi e la propria vita. Alcuni di loro negli anni, nella follia burocratica di certe stagioni, sono stati inquadrati addirittura come operai agricoli. Essere giudicati per la qualità del lavoro di ricerca è un imperativo vivere stabilmente in condizioni di precarietà no».

Anche Kim-Jong-un è daccordo. (Giphy. com).

Non resta che applaudire a questa ferma, eroica determinazione di risolvere il problema del precariato negli istituti afferenti al Mipaaf.
Il CREA», istituito per «incrementare l’efficienza organizzativa ed economica degli istituti di sperimentazione agraria e forestale» è con il tempo diventato un inefficiente sistema burocratico di gestione della ricerca agraria, snaturando i compiti e gli obiettivi di assistenza tecnica e di sperimentazione agro-silvo-pastorale e alimentare per i quali questi istituti erano stati creati.  Questa «riforma» ha accorpato modo caotico, scientificamente irrazionale gli ex-istituti di ricerca e sperimentazione agraria56, i quali erano stati riorganizzati, nel 1967, per dare un organico assetto alle precedenti Stazioni sperimentali, alle Cattedre ambulanti per l’agricoltura e altri enti o laboratori di sperimentazione ed assistenza tecnica sparsi nel territorio nazionale. Gli “Istituti per la ricerca e sperimentazione agraria”, attraverso un’articolata rete di sedi – centrali e periferiche – distribuite su tutto il territorio nazionale svolgevano prove sperimentali e fornivano assistenza tecnico-scientifica per le attività agro-silvo-pastorali (analisi e controllo dei prodotti agro-alimentare, miglioramento delle pratiche agricole e zootecniche, indagini ambientali, ecc.).

ex-Istituto Sperimentale per la Difesa del Suolo (FI) soppresso e alienato.

L’ «incremento dell’efficienza organizzativa ed economica degli istituti di sperimentazione agraria e forestale» ha portato alla soppressione o accorpamento in «dipartimenti» – assai eterogenei per finalità ed obiettivi investigativi – istituti di primaria importanza. Ad esempio l’«Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo», è stato aggregato all’«Istituto sperimentale per la zoologia agraria» perché ambedue presenti a Firenze, la storica «Sezione di Firenze» dell’«Istituto sperimentale per la selvicoltura» è stata soppressa, come è avvenuto per altre sezioni periferiche funzionali per l’economia agro-silvo-pastorale di una determinata area geografica. Istituzioni finanziariamente dissestate per il lungo stato di abbandono sono state aggregate alla rete di ricerca e sperimentazione, decurtando i finanziamenti destinati agli altri istituti57. Il Mipaaf ha imposto una dipendenza funzionale ed organizzativa degli istituti, centralizzando il processo decisionale a scapito delle autonomie, senza peraltro integrare l’attività del CREA con istituzioni esterne di ricerca ed istruzione nazionali e internazionali (CNR, Università, Istituti tecnici professionali, enti agricoli regionali, ecc.). Le funzioni di assistenza tecnica sono state in pratica cancellate e le attività di divulgazione e di formazione tecnico-scientifica sono occasionali e limitate58.

Nel capitolo «Tornare alla ricerca: una via italiana» Maurizio Martina segnala una serie di successi ottenuti dal CREA (Consiglio per la Ricerca e l’Analisi dell’Economia Agraria) con la partecipazione di istituti di ricerca italiani e stranieri. I successi riguardano soprattutto ricerche di genetica svolte in un clima di “caccia alle streghe” degli organismi geneticamente modificati e la diffusione di false credenze e bufale scientifiche59. Con un certo stupore ho appreso che la società Syngenta in collaborazione con il  Centro di Maiscoltura del CREA ha avviato un ambizioso progetto di “Valorizzazione del mais italiano”.  Non voglio assolutamente negare l’opportunità di instaurare forme di collaborazione scientifica e tecnica con enti ed imprese attive in determinati settori agroalimentari, ma non mi pare opportuno che una multinazionale selezionatrice di mais ibridi si vanti di «valorizzare il mais italiano», eccellente etichetta propagandistica per Syngenta, ma piuttosto sminuente per il vecchio «Istituto Sperimentale di maiscoltura» di Bergamo e per gli istituti di ricerca italiani. Progetti di tale importanza economica dovrebbero rappresentare un momento di crescita e rafforzamento non solo per gli organismi scientifici sottoposti alla vigilanza del  Mipaaf, ma anche per le altre istituzioni pubbliche di ricerca nazionali ed europee (CNR, Università, INRA ecc.). Gli organismi pubblici dovrebbero rendersi garanti della rigorosità scientifica, della correttezza e trasparenza delle indagini, ma per questo compito devono possedere un’adeguata struttura operativa (personale, laboratori, campi sperimentali, strumentazioni, ecc.) tale da permettere loro di esercitare un effettivo controllo e supervisione delle indagini. Se si tratta di una ricerca scientifica e non solo di un’etichetta propagandistica promozionale del mais della Syngenta o di analoghe società private è auspicabile che il Mipaaf utilizzi le collaborazioni scientifiche con l’industria privata per far crescere e potenziare la rete gli istituti di ricerca (CREA), favorendo anche  la loro integrazione con altre istituzioni italiane e internazionali, perché è irrealistico condurre ricerche «innovative» unicamente attraverso questi istituti gestiti da un ministero estraneo alle complesse problematiche della ricerca e sviluppo (R&S).
Si sente un gran bisogno di riformare questo ministero e tutti gli enti annessi e connessi dopo i disastri provocati da una sequela di incompetenti, inetti e, talvolta, anche indagati ministri succedutisi in questi anni60.
Nella passata legislatura, il presidente del Consiglio Matteo Renzi nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi (13.01.2016) ha annunciato che il pacchetto di riforme (Madia) contemplava che il Mipaaf assumesse la denominazione «Ministero dell’agroalimentare», titolo confacente all’attuale politica attenta più alla tipicità e alla “italianità” dei prodotti eno-gastronomici, che alle condizioni di vita degli agricoltori e dei lavoratori dell’agroalimentare. Nel corso dell’ultimo ventennio, il Mipaaf ha trascurato  i problemi dell’agricoltura, del lavoro rurale, e dell’ambiente agro-silvo-pastorale  concentrando la sua azione nell’erodere spazi e competenze delle Regioni in questo settore, per buttarsi negli affari agroindustriali (agribusinnes) e sui problemi concernenti i consumi dei prodotti alimentari e la salvaguardia o il rafforzamento di alcune “nicchie” produttive mediante rigidi sistemi protezionistici.
Nell’opera di sfascio delle istituzioni Marianna Madia (ex-Ministra per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione) ha egregiamente collaborato con Maurizio Martina, trasformando il Corpo forestale dello Stato (CFS) in Carabinieri forestali miracolosamente assurti a custodi del cibo anziché dei boschi. In altre pagine ho affrontato la questione dell’accorpamento del Corpo Forestale della Stato (CFS) all’Arma dei Carabinieri e delle molteplici sovrapposizioni (spesso conflittuali) di competenza tra organismi che esercitano un controllo sui beni ambientali e sugli alimenti.
Secondo una larga parte degli organi d’informazione, si è trattato di un importante passo verso la «economia verde», la mitica «green economy61», mentre i boschi protetti dalla “Benemerita forestale” vengono utilizzati libertariamente da legnaioli (alcuni in verità piuttosto abili) di balcanica nazionalità.

L’ex-Istituto Sperimentale per la Selvicoltura (Sezione di Firenze) abbandonata da vent’anni.

Tra gli istituti confluiti nel CREA  c’è anche l’«Istituto sperimentale per la selvicoltura»  (Arezzo) e l’«Istituto sperimentale per l’Assestamento forestale e l’Alpicoltura» (Trento). Il nostro Paese con il più alto numero di facoltà di «Scienze forestali» (variamente connotate) nella Ue  ha il primato per la peggior gestione dei boschi, per la minor cura idrogeologica delle aree collinari e montane, e per il maggior disinteresse per il paesaggio e l’ambiente62.

Negli anni sessanta del secolo scorso, si esortavano gli italiani a «bere più latte», oggi gli italiani sono costretti a pagare le sanzioni erogate dalla UE per il mancato rispetto delle «quote latte»63
Le  «furbate» nell’appropriazione o mal uso di fondi europei destinati all’agricoltura, nel mancato rispetto di accordi sottoscritti sono numerosissime e meriterebbero di essere raccolte in un “libro nero” dell’agroalimentare italiano64.  Alle sanzioni si aggiunge un uso distorto dei fondi europei per l’agricoltura (e non solo) e la scarsa capacità di proporre progetti organici di sviluppo del settore, preferendo intervenire finanziariamente in strutture aziendali già consolidate, anziché in programmi infrastrutturali e civili in grado di attivare l’economia del territorio.

Giovani pastorelle (foto da Cinquecolonne 20/05/2016)

Additare ai giovani la possibilità di trovare un soddisfacente impiego nella pastorizia mi sembra consiglio azzardato sia dal punto di vista economico (siamo memori delle recenti proteste dei pastori sardi per le condizioni di vita e di lavoro e delle loro richieste «Manifesto del Movimento Pastori Sardi», sia dal punto di vista della sicurezza in alcune regioni dove spadroneggia la criminalità organizzata.

Fascismo Autarchia

Manifesto fascista a sostegno dell’autarchia e della morigeratezza alimentare.

Non poteva mancare un capitolo sullo «spreco alimentare65 » e su come «vivere meglio», preceduto dalla lapidaria affermazione di Carlin Petrini, fondatore di Slow Food

«Oggi si spende più per dimagrire che per mangiare»

Pieter van der Heyden, Cucina magra (The Lean kitchen, da Pieter I Bruegel the Elder -1525/1530-)

«Lo spreco è un fenomeno inaccettabile» soggiunge Maurizio Martina e siccome «non possiamo individuare le cause nei livelli superiori, perché il 50% dello spreco alimentare si genera nelle nostre case … serve un cambiamento culturale, approccio nuovo e decisamente più rispettoso verso il cibo».

Particolare dal Libro d’Ore di Giovanna di Castiglia (1486-1506), British Library, Londra. (Pinrest)

Si è visto l’uso disinvolto delle percentuali per dar conto di un fenomeno e il ricorso a dati supportati dall’autorevolezza di organismi internazionali («Secondo gli ultimi (?) dati Fao, i denutriti (?) sono 815 milioni» e «Ogni minuto, sedici persone nel mondo muoiono di fame»), oppure frutto di occhiute stime («il 50% dello spreco alimentare si genera nelle nostre case») per giustificare l’ignavia del Mipaaf nell’indagare le perdite che avvengono nella fase produttiva, di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti agroalimentari. Quindi con la presunzione di aver acquisito sul campo credibilità e prestigio nella lotta allo spreco alimentare, il Ministro afferma perentoriamente che in questa epica lotta «… il nostro Paese gioca un ruolo guida… non per astrazioni , ma grazie a esperienze concrete e positive che possiamo offrire a livello mondiale».
Il nazional diritto ad essere protagonisti in questa lotta globale sono «gli impegni che ci siamo assunti con la “Carta di Milano” … che si sono trasformati in un rafforzamento del lavoro costante e concreto per il recupero delle eccedenze e la lotta alla povertà alimentare» (corsivo personale). Il Ministro non esagera perché alla «nostra Esposizione Universale di Milano» è iniziata la «storia a spreco zero», infatti «… ogni sera decine di volontari salvavano gli alimenti dallo spreco e li consegnavano a chi ne aveva bisogno»66.

Opera meritoria, intervento umanitario di elevato valore pietistico, probabilmente anche momentaneamente  efficace dal punto di vista assistenziale, visto che l’operazione è stata gestita da «Caritas», ma permangono fondati dubbi che questa campagna «spreco zero» abbia infiammato coralmente gli animi rurali e cittadini. Sono piuttosto le associazioni umanitarie che hanno reso possibile la realizzazione dell’iniziativa con il contributo ovviamente delle imprese che hanno partecipato alla “Esposizione” e dovevano smaltire gli avanzi con i relativi costi per lo smaltimento e/o riciclaggio.
Al di là di ogni retorica propagandistica, l’ex-titolare del Mipaaf sottolinea che lo «spreco zero» si realizza anzitutto prestando attenzione alle etichette, in particolare alle dizioni: «Da consumarsi preferibilmente … sempre» e «dando nuovo valore al cibo» e poi ricorrendo a «Last Minute Sotto Casa» del professor Andrea Segré67 oppure utilizzando un sistema di geolocalizzazione che consente ai negozi più vicini alla propria abitazione di innondarti di offerte di cibi a basso prezzo, perché invenduti o scaduti68. Egli indica anche altri innovativi sistemi per evitare lo spreco alimentare, come il Family Bag («una confezione che permette ai clienti del ristorante di portare con sé gli avanzi, per consumarli poi a casa» – sostitutivo del prosaico «Dog Bag» inglese; i sensori RFID che leggono le etichette degli alimenti nei frigoriferi intelligenti – (purtroppo la stragrande maggioranza si avvale di frigoriferi stupidi ), e poi ci informa di aver varato una legge69 per regolare questi inammissibili sprechi, senza tener conto che l’interminabile crisi economica ha già ampiamente ridimensionato i consumi alimentari degli italiani che non fanno parte dei circoli “gourmet”, “slowfood”, ecc..
Maurizio Martina ignora (o sottace) che gli «sprechi» alimentari non sono solo quelli delle famiglie e di chi frequenta i ristoranti, ma che riguardano  anzitutto le perdite in fase di produzione, raccolta, conservazione e trasformazione dei prodotti agricoli, cioè «le cause nei livelli superiori» quelle che – dice Martina – «non possiamo individuare», e – io direi – il Mipaaf non vuole affrontare, perchè si metterebbe in discussione tutta la politica agro-silvo-pastorale e alimentare del Paese. Forse val la pena ricordare a Maurizio Martina che ci sono agricoltori che sono costretti a distruggere i loro prodotti perché il prezzo offerto è inferiore ai costi di produzione e che questa è la causa del maggior spreco di cibo, non quello che le famiglie gettano perchè sono sazie.

Lo “sprovveduto” volgo rurale sa perfettamente che lo «spreco alimentare», come pure il «risparmio energetico» si fronteggiano investendo in tecnologia (es: catena del freddo, impianti di refrigerazione, difesa – anche con mezzi chimici – dagli insetti e dagli altri animali distruttori di derrate, moderni sistemi di trasporto e logistici,  ecc.) e non ultimo intervenendo sulle distruzioni di prodotti agricoli per “questioni di mercato” o destinati alla “biocombustione”. I problemi dell’agricoltura e dell’ambiente non si risolvono inserendo nel «Piano strategico nazionale per lo sviluppo del sistema biologico»,  “l’agricoltura biodinamica” e altre esoteriche pratiche colturali o moltiplicando i magici appellativi delle “origini”, “provenienze”, e “tipicità” oppure finanziando le “eccellenze aziendali”

Insegnante rimprovera il proprio studente (Disegno pubblicato frontespizio libro Vargas Llosa “La logica del terrore, Scheiwiller ed.)

Attenzione quindi alle etichette sia per la scadenza dei prodotti, che per la provenienza, e poi per gli additivi, le calorie, i grassi saturi&insaturi, il grado di italianità, la purezza (auspicabile verginale), la naturalezza, il grado di libertà da  allergeni (Gluteen free, “tracce di “clandestini”… metalli pesanti/leggeri/eterei”, … zuccheri, … edulcoranti e così via). Per evitare lo spreco alimentare il Mipaaf raccomanda di attenersi alle indicazioni di «Io non spreco» per un uso parsimonioso dei prodotti agroalimentari70.
Maurizio Martina, oltre essere un sostenitore dell’«Agricoltura di precisione» è nel contempo un sostenitore dell’agricoltura «biologica» e «biodinamica» e contrario all’impiego di pesticidi, in particolare del «Glifosato71».  Nel corso della presidenza italiana dell’Unione europea (1/07 – 31/12/2014) dopo quattro anni di negoziati l’ex-Ministro ha «sbloccato una legislazione europea che desse più spazio alla libertà di scelta dei singoli Stati in materia di coltivazione degli OGM» e nel contempo ha introdotto il «divieto di coltivare in campo aperto delle piante transgeniche sul territorio».

Pinocchio catturato dai carabinieri.

Il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 ha finalmente introdotto adeguate sanzioni (reclusione da 6 mesi a 3 anni e multa da 10.000 a 30.000 euro) per la violazione del divieto di coltivazione di Ogm. Il
Movimento Consumatori plaude all’introduzione di questo reato nell’ordinamento italiano e la Coldiretti spiega: “La disposizione contenuta nel decreto legge chiude finalmente il cerchio intorno ad una vicenda allarmante che tante preoccupazioni ha sollevato negli ultimi tempi tra i numerosi agricoltori contrari agli Ogm..” e “avverte che alle Regioni – spetterà di definire, nell’ambito del proprio territorio, e sulla base dei rilievi effettuati dagli organi di polizia giudiziaria, modalità e tempi delle misure che il trasgressore dovrà adottare, a proprie spese, per rimuovere le coltivazioni vietate”.

 Il Mipaaf ha finanziato con 21 milioni di euro (Legge di Stabilità 2016) «il più importante progetto di ricerca pubblica fatto nel nostro Paese su una frontiera centrale come il miglioramento genetico attraverso biotecnologie sostenibili» (Definizione del Mipaaf). Come osservato da Elena Cattaneo, il provvedimento ha ridato un po’ di respiro alla ricerca italiana in materia di «Biotech» dopo anni di blocco di fondi e di inibizione delle sperimentazioni. Permane tuttavia l’assurdo divieto di realizzare impianti sperimentali “di campo”  e ogni possibilità di valutare i risultati delle ricerche è quindi inibita. Insomma si vuol far credere che si siano tolte le restrizioni alla coltivazione degli OGM e si presti una maggior attenzione per la ricerca “biotech”, mentre in realtà tutto rimane immutato in nome di un “principio di precauzione” privo di fondamento. Va anche ricordato che sugli OGM esiste una confusione terminologica per cui molto spesso il termine «organismo transgenico», cioè con geni che provengono da altre specie, è usato come sinonimo di OGM in cui si sono silenziati uno o più geni dell’organismo stesso. Il CREA ministeriale assiste impotente (fors’anche complice) a questo blocco della sperimentazione e della ricerca in questo importante settore, dando spazio ad irrazionali timori e a vere e proprie falsificazioni sulla presunta nocività per la salute e per l’ambiente dei ritrovati “biotech”.

Genome Editing

Maurizio Martina sostiene che «non si tratta di una decisione oscurantista», ma «di una consapevolezza più strettamente agronomica e ambientale, considerate la delicatezza e la complessità del nostro territorio» e la «fragilità degli ecosistemi». Dietro queste altisonanti dichiarazioni si nasconde la volontà di affossare la ricerca sulle biotecnologie vegetali e di imporre vincoli e controlli stringenti sugli indirizzi colturali delle aziende. La polemica sugli OGM riguarda, come si sa, la conservazione della biodiversità e gli effetti sulla salute. Su quest’ultimo aspetto allo stato attuale non esistono prove incontrovertibili della loro nocività e di recente l’Università di Pisa ha pubblicato (2018) un rapporto sulla non dannosità del mais transgenico72.
Maurizio Martina vuol sempre «sostenere soluzioni capaci di andare oltre», è proteso a fare dell’Italia il modello europeo di «agricoltura sostenibile» e, in questa continua ricerca del “meglio”, impone supplementari vincoli e restrizioni alle già severe direttive europee. Per questo il nostro Paese viene poi sanzionato con costose (per i contribuenti) contravvenzioni inflitte per il mancato ottemperamento ad accordi sottoscritti, offrendo il destro ai frodatori di protestare contro le presunte ingiustizie della Ue e di sfuggire alle sanzioni loro comminate. L’Italia ha una legge sull’uso di animali per scopi scientifici più restrittiva di quella europea, che penalizza la ricerca e impedisce di realizzare indagini sinergiche con altre istituzioni internazionali73 Questo avviene oltreche per gli OGM, anche per i vaccini, per le diete (soprattutto quelle non vegetariane (noveg) e per altre mode diffuse da interessi particolari. Basta la protesta di qualche “setta” ambientalista, afferente alla «ecologia profonda» (deep ecology74), perché ignoranti politici, timorosi di perdere consensi frenino o blocchino qualsiasi innovazione75.

Principi base dell’agricoltura biologica

Altro argomento imbonitorio nel variegato mondo “alternativo” è quello della «agricoltura biologica76»  e dell’ ancor più innovativa «agricoltura biodinamica», fondata negli anni ’20 da Rudolf Steiner, iniziatore della cosiddetta antroposofia – disciplina pseudo-scientifico-filosofica intrisa di elementi esoterici e spiritistici.

Agricoltura biodinamica: approntamento fertilizzante organico

Le pratiche agricole biodinamiche pretendono di essere oltreché “biologiche” anche “omeopatiche” ed “olistiche”77. Questa pratica agricola è stata ampiamente propagandate dal Mipaaf e alcune organizzazioni di categoria hanno sollecitato addirittura forme di sostegno per questa magica agricoltura78.

La sola caratteristica accertata dei prodotti dell’agricoltura biologica è quella «di essere molto più costosi di quelli che rappresentano il frutto dell’agricoltura “moderna”. […] Nessuno ha mai documentato in modo diretto che il tipo di agricoltura additata da alcuni gruppi politici come il meglio di ogni alimentazione abbia in realtà vantaggi per la salute rispetto a quel modo di coltivare che utilizza i progressi delle conoscenze delle scienze agrarie e l’impiego di antiparassitari.79
Malgrado siano trascorsi sedici anni da questa constatazione, la situazione non è cambiata e non esistono indagini comparate sulle differenze orgonolettiche tra prodotti coltivati con l’«agricoltura biologica» e con quella “moderna”. Si tratta solo di una “moda” per collocare col massimo profitto dei prodotti dell’industria agroalimentare. Si creano così delle “nicchie” di mercato, analogamente a quanto avviene per i prodotti certificati (DOP, IGP, ecc.), instaurando delle “rendite di posizione” che confliggono con l’innovazione tecnica e fomentano conflitti d’interesse tra produttori. Poche le voci di agronomi, biologi e zootecnici che protestano contro questa deriva antiscientifica. La diffusione di miti irrazionali, di pratiche esoteriche e di false credenze e bufale scientifiche ha ormai raggiunto livelli intollerabili con la complicità degli organi di informazione e l’attiva partecipazione di politici alla caccia di consensi elettorali.
L’invito rivolto ai «ragazzi e le ragazze», che «faticano, studiano, progettano, rischiano» per «cambiare l’Italia a partire dalla terra», valorizzando l’agricoltura biologica, biodinamica, «a chilometro zero», e quant’altre «esoteriche agricolture» doviziosamente propagandate dai mass media, suona piuttosto cinico e forse un po’ irresponsabile, dal momento che si tratta di indirizzi rischiosi sul piano economico (a meno di non godere del clientelare di sostegno economico pubblico), assai discutibili dal punto di vista tecnico-scientifico, che possono tutt’al più avere un effetto terapeutico su sognatori e visionari.

Karl Spitzweg, Il poeta povero (1839).

La lettura del libro di Martina ha avuto anche per me un effetto terapeutico: mi sono (parzialmente e arbitrariamente) vaccinato  contro i luoghi comuni, gli stereotipi, le banalità che vengono diffuse a pieno mani sull’agroalimentare e il biologico, cercando spassionatamente di capire come il Mipaaf e i sui titolari intendano far fronte alla drammatica situazione agro-silvo-pastorale e alimentare del Paese.

Per concludere, invito i miei «men che 25 lettori» a rilassarsi con questa «Classical Music for Anti-Stress Effect & Stress Relief: Bach and Mozart».

  1. Maurizio Martina, «Dalla Terra all’Italia: Storie dal futuro del Paese». Mondadori Ed., Milano, 2017, pp. 263. L’ Autore ha presentato il suo libro in molte occasioni, ricevendo unanime plauso per gli obbiettivi di sviluppo agricolo, che vanno sotto il nome di “Agricoltura .4“.
  2. Questo termine ha avuto un grande successo nella pubblicistica italiana ed è diventato lo slogan accattivante e fascinoso dell’agognato stato di benessere raggiunto o raggiungibile. Si è omesso il termine a cui era inizialmente associato, cioè “State” (welfare State), che stava ad indicare “Stato sociale“, successivamente additato al pubblico ludibrio come “Stato assistenziale” da rifuggire perché collegato alla povertà dovuta a scarsa propensione al lavoro e al sacrificio, indice di una deplorevole inclinazione all’accattonaggio e alla fannullaggine a spese del “contribuente”.
  3. «In dialetto pugliese significa «vai a zappare», un detto molto vicino a «braccia strappate all’agricoltura». A chi non sa fare niente in Puglia si diceva «va’ zapp’». Con questo incoraggiante logo  è stato creato un gruppo, che «mette insieme le esperienze dei giovani agricoltori con altri talenti del territorio, dagli economisti ai designer, dai comunicatori agli chef».
  4. Nell’arte del linguaggio si chiama metafora ciò che “non si usa in senso proprio“. Perciò le metafore sono le perversioni del linguaggio e le perversioni sono le metafore dell’amore. (Karl Kraus, Detti e Contraddetti)
  5. Frase che il Ministro ha ascoltato all’«Università Luiss di Roma in occasione di un appuntamento intitolato «#Contadinner©» (format creato da «VàZapp’!»), il primo hub rurale pugliese dedicato all’incontro tra quanti lavorano nel campo agro-alimentare e professionisti.
  6. «Giuseppe, 36 anni: orgogliosamente «VàZapp!». Nell’azienda di famiglia, che produce olio, pomodori e uva, si occupa di marketing e vendite, e soprattutto, dei progetti dei quali è promotore, a partire da «VàZapp’!».
    Con i suoi compagni di avventura ha raccolto 40.000 firme (sulla piattaforma «Change.org») a tutela della filiera del pomodoro che volevano consegnare al Ministro (ora ex-) con un atto simbolico. Lodevole iniziativa! Non è cosa dappoco raccogliere 40.000 firme per segnalare allo sprovveduto Ministro in carica la crisi della «filiera del pomodoro». Ben vengano i “Cahiers de doléance” (quaderni delle lamentele) e le “petizioni on line” per supplicare l’Autorità a far qualcosa per lenire disagi e sofferenze dell’agricoltura nazionale.
  7. «Enrico, 24 anni: 88 ettari di terre pubbliche per un sogno». Mentre naviga su Internet, scopre «Terrevive»: facendo valere la prelazione per gli «under 40» nell’asta del demanio con l’aiuto della famiglia acquista un terreno (88 ettari) a Monticiano, in provincia di Siena.
  8. «Stefano, 28 anni: il mulino più social d’Italia». «Mentre ero in viaggio verso Bruxelles ho letto sulla “Stampa” queste parole (del giovane Stefano). «Sognavo la Silicon Valley l’ho costruita qui». «La vallata di San Floro in Calabria, negli anni sessanta era colma di spighe di grano […] di tutta quella storia era rimasto solo un mulino a pietra. Era l’ultimo mulino a pietra in Calabria». In pochi giorni, Stefano ha raccolto più di 500.000 euro e il suo progetto è partito. Abbiamo parlato dell’importanza dell’informazione sulle materie prime ai cittadini e del modo in cui la sua farina di grano antico ha risollevato le sorti delle aziende agricolte della zona, dando così nuovo slancio alla filiera locale.
  9. «Carlo, 25 anni: un futuro antico come il mais nero». «Non avevo terra, non avevo un soldo ma avevo un sogno, fare l’agricoltore». Il sogno inizia in quarta superiore, con un ordine alla banca del germoplasma delle Isole Svalbard (Il “Deposito globale di sementi delle Svalbard” – Svalbard Global Seed Vault fornisce al nostro Carlo semi di mais nero come farebbe una qualsiasi rivendita sementiera! Origine inventata) di 40 semi di mais nero, una varietà antichissima conosciuta anche ai tempi dei Maya (in realtà degli Inca [nota A.]) Dalle 40 piante del 2011, Carlo è passato a 750.000 piante nel 2016. Da questo tesoro nero egli ricava una birra artigianale, un succo, una farina ottima per la polenta, per il pane, per la pasta e i biscotti. «Eat better not less» (Mangia meglio, non di meno) è lo slogan che ha scelto per sintetizzare la sua filosofia aziendale.
  10. «Osvaldo, 29 anni: «l’albero 2.0 premiato da Google». Nella Piana di Sibari, in Calabria, nascono alcuni degli agrumi più famosi al mondo: le clementine. Qui, sono parte integrante dell’anima stessa del territorio. La famiglia coltiva la terra da quattro generazioni. Osvaldo è tornato, dopo un percorso di studi lontano da casa, per lavorare fianco a fianco del padre Paolo. È nata così «Biofarm», la «prima piattaforma digitale al mondo di adozione di alberi da frutta biologica finalizzata alla creazione di una Comunità Agricola Digitale, i cui principi cardine sono il rispetto dell’ambiente, la salvaguardia della salute e il supporto alla digitalizzazione per le piccole e medie aziende agricole bio.
  11. «Ida, 20 anni: le insalate biologiche che conquistano il mondo». Ida ha 20 anni, un sorriso solare e una forte determinazione, e ha saputo conquistare una multinazionale come McDonald’s «…è la più giovane di 20 agricoltori selezionati per «Fattore Futuro», il programma realizzato dalla multinazionale in Italia per reclutare giovani talenti locali». Imprenditrice agricola di seconda generazione, campana, ha deciso di creare l’azienda «Bioadinolfi» completamente dedicata alla produzione di insalate “baby leaf ” per quarta gamma. Con l’aiuto dei genitori ha investito per realizzare una struttura di 35 ettari di serre nella Piana del Sele, a Montecorvino Rovella, in provincia di Salerno.
  12. È il nome del decreto con cui il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali – con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio – ha messo in vendita o assegnato in locazione circa 5.500 ettari di terreni di proprietà pubblica, destinandoli innanzitutto agli agricoltori (under 40), (Decreto Mipaaf del 20/05/2014).
  13. Nel testo il termine «innovativo» ricorre assai di frequente, analogamente ad altre «parole di plastica», termini che decontestualizzati sono insignificanti per il loro carattere polisemico, generico, aspecifico e nel contempo allettante. Sono termini evocativi che si attagliano ad ogni circostanza analogamente a tutto ciò che è «bio-», «eco-» e «sostenibile», o a locuzioni che denotano supposte virtù «spreco zero», «chilometro zero» o quello più gaglioffo «tolleranza zero» e il più beota «chilometro zero». Per non dire dell’aggettivo “sostenibile” che viene appiccicato ormai a qualsivoglia attività, azione od oggetto per dar certezza che la pratica adottata concorre al benessere non solo personale, ma anche della Natura e del Pianeta che di questa “sostenibilità” se ne infischiano.
  14. San Floro dai primi del ‘900 è conosciuta come la “Terra dei fichi”, che sono stati rimpiazzati dal grano in seguito alla omonima fascistissima e autarchica “battaglia”. La “battaglia” di quel tempo è diventata oggi il recupero dei grani antichi e della primordiale macina a pietra. Si ricorre a materiali antichi e a supposte varietà primigenie di frumento per «costruire tradizioni inventate di nuovo tipo, destinate a fini altrettanto nuovi» (Hobsbawm).
  15. Suppongo si tratti di Carlo Maria Recchia, originario di Formigara in provincia di Cremona, titolare della prestigiosa azienda CMR Mais Corvino, che produce oltre al «mais nero» o «mais morado», anche birra, pasta, e dolci che sono diventati un «must culinario» raccomandato da «Slow Food».
  16. Buongustai, fini intenditori di cibi e di vini, ecc., termine “chic” da usare per distinguersi dai “gourmands“, che sono un po’ “crapuloni”, epicurei eccessivi nel loro amore per il cibo e le bevande, o dai “foodies” meno raffinati, consumatori in genere di “street food” (cibo di strada).
  17. Per«tradizione inventata» si intende un insieme di pratiche, in genere regolate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale o simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori o norme di comportamento ripetitive nelle quali è automaticamente implicita la continuità col passato» (L’invenzione della tradizione, Einaudi ed., 2002,  p. 3). Una spassosa ben documentata rassegna delle bugie del marketing sui prodotti tipici italiani ci è offerta da Alberto Grandi in “Denominazione di origine inventata” (Mondadori ed., 2018). Egli argutamente osserva che nell’impegno profuso dal Mipaaf, da ogni singolo comune, località o comunità «per avere una qualche forma di riconoscimento al suo prodotto locale….c’è qualcosa di medievale»: «Quasi i prodotti tipici fossero “le sacre reliquie del Ventunesimo secolo, il pane di grano arso venerato come il braccio di Sant’Antonio, la colatura di alici come il sangue di San Gennaro, le strade del vino come il cammino dei pellegrini, la lotta per la DOP come l’ultima Crociata (Marianna Mascioletti).
  18. Numerosissimi sono i siti web che propagandano le miracolose proprietà di vegetali, minerali, amuleti, ecc.. Mi limito a segnalare l’indirizzo di uno di questi, dove si indicano i modi per risolvere una vasta gamma di problemi esistenziali (sanitari, psicologici, sessuali, ecc.).
  19. Le immaginarie accattivanti invenzioni storiche che accompagnano la presentazione di molti prodotti agroindustriali “made in Italy” danno l’illusione che si stia vivendo un’esperienza gratificante, perché «un prodotto tipico, in quanto tale, aggiunge all’esperienza gustativa qualche elemento in più di carattere culturale e sociale» (Alberto Grandi, «Denominazione di origine inventata», Mondadori ed., 2018).
  20. Sempre più di frequente vengono ritirati dal mercato prodotti alimentari per la presenza di patogeni, per adulterazioni o violazioni di specifiche norme legate a disciplinari o provenienze (cfr. Il Fatto alimentare e altri siti che documentano il fenomeno).
  21. Operazione condotta dalla Guardia di Finanza che ha portato all’arresto di 9 titolari di aziende agricole operanti nel ragusano e nel siracusano, per «i reati di associazione per delinquere finalizzata alla «Frode nell’esercizio del Commercio ed alla truffa aggravata ai danni dello Stato e dell’U.E.», mirante al conseguimento di erogazioni pubbliche».
  22. Le tanto magnificate società di certificazione non offrono sufficienti garanzie di imparzialità e trasparenza per il conflitto di interessi, che sta alla base della loro costituzione (il controllore è finanziato dal controllato, che può addirittura detenere fino al 50% del capitale azionario della società di certificazione). In pratica il controllato paga il controllore, che è “di sua proprietà” (cfr. “Biotruffa per legge: Prima delle elezioni, Millennium, maggio 2018, n. 12. Anno 2.). Di recente è scoppiato lo scandalo dei prosciutti (IGP) Parma e San Daniele con l’incriminazione di due società di certificazione; purtroppo non si tratta di casi isolati.
  23. A dicembre 2017, il tasso di disoccupazione ammontava a 10,1% (0,1 punti in meno rispetto novembre), inferiore a quella della Grecia (20,9% – novembre 2017) e della Spagna (16,4%), leggermente superiore a quella francese (9,2%) e incomparabilmente più elevato di quello della Germania (3,6%), dei Paesi Bassi (4,4%). I giovani (tra 15 e i 24 anni) senza lavoro, secondo l’ISTAT (novembre 2017) costituivano il 32,7% dei disoccupati (in calo di 1,3 punti rispetto a ottobre). Il tasso di occupazione in questa fascia di età era del 17,7% con un aumento di 0,5 punti rispetto a ottobre (2017) e di 1,4 punti rispetto a novembre 2016. Preferisco non addentrarmi nella diatriba sulle statistiche dell’occupazione/ disoccupazione, fasce di età, tipologie, ecc., perché le discussioni su questo (come su altri) temi “sensibili” hanno assunto un carattere manicheo estraneo ad ogni razionalità e capacità di guardare in faccia questa desolante realtà.
  24. L’affermazione che «le aziende agricole condotte da “under 35” possiedono una superficie superiore del 54% rispetto alla media [quale media?], realizzano un fatturato più elevato del 75% [rispetto a quali aziende] e hanno il 50% di occupati in più in azienda (di quali aziende si sta parlando?» (Indagine Coldiretti/Ixe’) in termini statistici è insignificante. Si tratta di uno dei troppi usi ingannevoli della statistica – cfr. W.J. Reichmann, «Use and Abuse of Statistics», Penguin Book, 1964), per giustificare l’opinabile scelta di assegnare contributi in base all’età del conducente,  alla loro appartenenza a particolari organizzazioni di categoria e perseguire una politica discriminatoria e clientelare.
  25. ISMEA“Programma Rete Rurale Nazionale 2014/2020” Bando relativo alla sesta edizione nazionale del concorso “Nuovi Fattori di successo” – Approvazione della graduatoria e nomina dei vincitori (1 febbraio 2018): CAPOGROSSO DARIO ADOLFO; CHIALVA SARA; CIGNATTA LAURA ; CORBO RINO; DELLORUSSO FRANCESCA; GASTALDI ELISA; MANUEL BREITENBERGER; MIGLIACCIO IMMACOLATA; MOLINARI GRAZIANO; NOLLETTI NUNZIO; PASQUALONE DIEGO; PITTO NADIA LAURA; ZANNINI EMANUELE. Ovviamente non si tratta di contestare il merito professionale dei titolari di queste aziende e di molte altre che hanno avuto finanziamenti pubblici. Non si può però sottacere il fatto che la distribuzione di fondi pubblici a singole aziende scelte in base a determinati indirizzi produttivi o a specifiche pratiche agricole (per di più a-scientifiche) hanno carattere discriminatorio che contrasta con le finalità sociali asserite dal Mipaaf. Questi contributi pubblici sono sostitutivi dell’investimento fondiario privato e non hanno alcuna ricaduta positiva per lo sviluppo complessivo del settore.
  26. Crisi: da #Campolibero e Green Economy 100mila posti di lavoro (26 giugno 2014, a cura di «Staff Giovani Impresa»).
  27. A settembre 2015 (rispetto a settembre 2014) l’ISTAT registrava un incremento occupazionale in agricoltura del +4,1% (35.204 occupati in più) – di cui, giovani: +12,7% (19.860 occupati in più). Nei diversi comparti economici si è registrato un incremento di +1,1% (246,8 mila occupati in più) – di cui, giovani: +1,1% (55,6 mila occupati in più).
  28. La Cooperativa Fattoria della Piana è a capo di una filiera completa, che va dalla coltivazione dei terreni, alla raccolta del relativo foraggio, alla erogazione di servizi agricoli presso gli allevamenti dei soci, alla raccolta del latte e relativa trasformazione, fino al commercio delle produzioni casearie tramite i punti vendita diretti e mediante una moderna flotta di automezzi.
  29. «Bonifiche Ferraresi acquisita dalla BF Holding S.p.A. nel giugno 2014; possiede una superficie coltivata di 6.500 ettari, un capitale versato di Euro 8.111.250 ed è quotata in borsa.
  30. Il numero di giornate lavorative annue è incompatibile con qualsivoglia tipo di attività agricola ed evidenzia che gli addetti sono per lo più precari, privi di specifiche specializzazioni, sprovvisti copertura previdenziale e lavorano saltuariamente senza contratto, per brevissimi periodi. Questa situazione è ampiamente documentata anche nel Censimento dell’agricoltura (ISTAT, 2010) e in indagini locali, che attestano la generale arretratezza del settore agro-silvo-pastorale.
  31. Un’illustrazione delle applicazioni della «Agricoltura di precisione» si ritrova in un recente articolo di Ettore Livini su Repubblica (4 aprile 2018). Nella stessa pagina il presidente di CREA (Salvatore Parlato), dopo aver magnificato le potenzialità della nuova agricoltura, avverte la necessità di formare dei tecnici in grado di gestire questi ritrovati. Come al solito, si individuano i potenziali fattori limitanti (inadeguata qualificazione degli operatori, ridotte dimensioni, scarsa capitalizzazione aziendale, ecc.) senza mai chiarire come si intenda superare questi ostacoli. Si dà per scontato che si realizzeranno (senza mai specificare come e quando) gli obbiettivi prefissati utilizzando le tecniche descritte. Insomma si distribuiscono sogni e non si pensa come risolvere l’arretratezza culturale e materiale del mondo agricolo.
  32. Pochi sanno cosa significhi veramente “Agricoltura 4.0”.  Probabilmente si tratta delle «Linee guida per lo sviluppo dell’Agricoltura di Precisione in Italia», destinate a regolare un fenomeno che interessa (ad essere ottimisti) lo 1% delle aziende agricole. Purtroppo la politica agraria non è un “software”, che si aggiorna e si emenda da imperfezioni ed errori (bugs) con edizioni successive (release). Le innovazioni tecnologiche possono contribuire allo sviluppo dell’economia agroalimentare se diffuse ed applicate in un contesto sociale ed ambientale recettivo ai mutamenti tecnologici per i vantaggi concreti che si possono ottenere.
  33. Identificata con l’acronimo FTTH (Fiber To The Home)
  34. FTTH Council Europe, (FTTH Conference 2017).
  35. «Il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) è un ente nazionale di ricerca e sperimentazione con competenza scientifica generale nel settore agricolo, agroindustriale, ittico e forestale e con istituti distribuiti sul territorio (Decreto Legislativo 454/99). Ha personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa e finanziaria, e il Mipaaf esercita la «vigilanza» sulle 28 Strutture di ricerca e sperimentazione agraria e le rispettive 54 sedi operative periferiche Link.
  36. Etichettare le  «filiere» agroalimentari tipo “grano-pasta” o dei prodotti zootecnici, provenienti da allevamenti, che utilizzano mangimi largamente importati dal nostro Paese o dalla Ue (soia, mais, ecc. geneticamente modificati) comporterebbe un danno di immagine del “made in Italy” agroalimentare e produrrebbe, almeno per quanto riguarda i prodotti contenenti OGM, una ripulsa da parte dei consumatori bombardati da annunci sulla nocività di questi prodotti.
  37. La cosiddetta «Rivolta del pane nel Magreb» del 2011 traeva origine dal forte rincaro dei prezzi del frumento e di altri prodotti di prima necessità. Nel nostro Paese la riduzione del prezzo del frumento a 18 centesimi al chilo (2016) ha imposto lo stanziamento di 10 milioni di euro per finanziare i contratti di questa filiera.
  38. Contratto stipulato in borsa che prevede la consegna futura di certe quantità di un bene o merce o valore mobiliare a un prezzo concordato nel momento della stipula e a una determinata data.
  39. Stefano Mancuso, scienziato di prestigio mondiale, professore all’Università di Firenze, dirige il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (LINV). Membro fondatore dell’«International Society for Plant Signaling & Behavior», ha insegnato in università giapponesi, svedesi e francesi ed è accademico ordinario dell’Accademia dei Georgofili. Assieme a Carlin Petrini ha pubblicato il libro “Biodiversi” (Giunti & Slow Food ed., 2015) e nel 2012 è stato indicato da «la Repubblica» tra i 20 italiani destinati a cambiarci la vita. Nel 2013, il «New Yorker» lo ha inserito nella classifica dei “world changers”. Nelle numerosissime  pubblicazioni e conferenze sostiene, sulla base di discutibili metodi di analisi delle reazioni delle piante, l’esistenza di una memoria, intelligenza e sensibilità dei vegetali.
  40. Tra le personalità coinvolte nelle attività del Master ricordiamo: Vandana Shiva, la leader indiana del vasto movimento mondiale contro gli organismi geneticamente modificati (Ogm); Fritjof Capra, fisico e teorico dei sistemi; Serge Latouche, sostenitore della “Decrescita felice” e della localizzazione (localismo, chilometro zero, filiera corta), ed altri docenti di varie discipline.
  41. «Confrontando le immatricolazioni nell’anno accademico 2013-2014 con quelle del 2007-2008, la flessione è del 13,2%, 40.000 immatricolati in meno rispetto alla situazione precedente la crisi (dai circa 306.700 a 266.290). In controtendenza, scienze agrarie, forestali e alimentari, che ha fatto registrare un aumento del 45%, collocandosi al primo posto tra le facoltà scelte. Il trend è confermato anche dagli istituti superiori, con un incremento di iscrizioni del 29% negli istituti professionali agricoli e del 13% negli istituti tecnici di agraria, agroalimentare e agroindustria, rispetto alle iscrizioni al primo anno nelle scuole secondarie di secondo grado, statali e paritarie» (Data Giovani/ Coldiretti).
  42. Non si tratta di una critica ai sistemi di raccolta dati, quanto piuttosto di un’esortazione a potenziare i servizi statistici che devono essere autonomi  e garantire “trasparenza“, “indipendenza“, assenza di “conflitti di competenza e di interessi“.  Troppe sono infatti le informazioni ministeriali che risultano obsolete oppure non sufficientemente documentate e soprattutto non validate da istituzioni tecniche e scientifiche indipendenti.
  43. Il XV Rapporto Ismea Qualivita informa che si «rafforza il primato mondiale dell’Italia per numero di prodotti DOP, IGP con 818 Indicazioni Geografiche registrate a livello europeo», quindi una positiva crescita di marchi perché nel rapporto 2014 si testimoniava che «L’Italia rimane leader mondiale del comparto per numero di produzioni certificate, con 269 prodotti iscritti nel registro Ue, di cui 161 DOP, 106 IGP, 2 STG. Un comparto che garantisce la qualità anche attraverso i 120 Consorzi di tutela riconosciuti dal Mipaaf, 48 Organismi di Certificazione autorizzati, per un complessivo numero di oltre 60.600 visite ispettive e 75.700 controlli analitici (campione di 150 prodotti)
  44. A pag. 90 si legge «I piccoli produttori di Aceto balsamico tradizionale di Modena o di pomodori di Pachino potranno finalmente entrare nel mercato canadese (grazie al trattato CETA) che già oggi vale 700 milioni di euro per l’Italia e non subire la concorrenza sleale dell’italian sounding (il fenomeno  di imitazione di un prodotto/ denominazione/ marchio che richiama ad presunta italianità, priva di ogni fondamento organolettico). La contraffazione riguarda illeciti relativi alla violazione del marchio registrato, delle denominazioni di origine (DOC, DOP, DOCG, IGP, IGT, STG), del logo, del design, del copyright (non impugnabile e sanzionabile legalmente).
  45. Per iprolungati ritardi dei pagamenti l’Italia è attualmente sottoposta ad un procedimento di infrazione della  “Nuova direttiva UE contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali” (2011/7/UE del 16/02/2011, recepita con Decreto legislativo n. 267 del 15 novembre 2012).
  46. Capitolo «Lotta alle agro-mafie e al falso cibo» (p. 38 segg). Mi piacerebbe sapere qual’è il “vero” cibo e come si fa ad identificarlo, forse i “Carabinieri forestali” hanno avuto un apposito “training” o si avvalgono di unità cinofile?.
  47. Sull’intero business della contraffazione, la quota riferita all’agroalimentare è del 16% per un valore di 1 miliardo di euro. I lavoratori irregolari e le potenziali vittime di caporalato in agricoltura sono più di 400.000, con un danno economico che oscilla tra 3,3 e 3,6 miliardi di euro» (Dati elaborati dall’Osservatorio Placido Rizzotto, citazione integrale di M. Martina, p. 32).
  48. Paolo Ginsborg, “Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi”. Giulio Einaudi ed., Torino, 2006, p. 283 segg.
  49. Vedi: “Linee guida per le indicazioni dell’origine e del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero caseari“, ma poi non basta perché esistono un’infinità di norme e regolamenti per l’esportazione che solo delle compagnie finanziariamente assai consolidate sono in grado di sostenere – Regolamento (UE) 1308/2013, ecc.
  50. Un’analisi dei dati sull’agro-alimentare (Scheda di sintesi del settore agroalimentare) può contribuire forse a far chiarezza su questo settore tanto strombazzato per la sua performance economica, la quale deve essere rapportata agli altri paesi europei e al trend internazionale del comparto.
  51. Fin dal dopoguerra il problema dei mercati generali del loro funzionamento, dell’arretratezza strutturale e soprattutto del ruolo della mafia, dell’andrangheta e di altre organizzazioni mafiose è stato analizzato e coraggiosamente affrontato da economisti, studiosi e operatori del settore, ma da parecchio tempo a questa parte i politici sono poco attenti a questi problemi, delegando al potere giudiziario il compito di sanzionare gli abusi eclatanti.
  52. «Slow Food è una associazione internazionale non profit impegnata a ridare valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali». Sull’ideologia di Slow Food e sulle ripetitive vanterie sulla conservazione della biodiversità, sulla lotta contro la fame nel mondo, sul recupero delle tradizioni culinarie e le pratiche agro-silvo-pastorali del buon tempo antico, vedi la nota critica di Gaetano Forni e Luigi Mariani.
  53. Di recente l’Italia ha contestato la scelta Ue di includere le colture idroponiche tra quelle classificabili come “biologiche”, ma, com’era ovvio e scontato questa opposizione è stata completamente inutile, dimostrando ancora una volta che la paura della concorrenza e l’esaltazione esasperata dell’italianità non sono sostenibili, anche perché al consumatore interessa più la qualità e la sicurezza del cibo, che non la provenienza e una “tipicità” costruita ad arte. Va anche detto che “In un paese evoluto delle politiche alimentari si occupano le autorità sanitarie” e se, come nel nostro Paese è il Mipaaf che vuole a tutti i costi svolgere questo ruolo di controllore è solo per «l’evidente intento protezionistico di tutta la retorica sulla qualità dei prodotti italiani».53Di recente l’UE ha escluso per l’Italia la possibilità di etichettare l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine (Dop) e a nulla sono valse le proteste della Coldiretti. Sul sovrabbondante numero di prodotti classificati Dop, Igp, ecc. di lontane epiche provenienze, e sulla mitologia della cucina italiana cfr. Alberto Grandi, «Denominazione di origine inventata», Mondadori ed., 2014.
  54. Gallino L., «La lotta di classe, dopo la lotta di classe», intervista a cura di Paola Borgna, Editori Laterza, Bari 2012, p. 45 segg.
  55. Norme per il riordinamento della sperimentazione agraria (D.P.R. 23 novembre 1967, n. 1318).
  56. La “riforma” degli «Istituti di sperimentazione e ricerca agraria» è stata l’occasione per svendere prestigiosi immobili e “far cassa”: nel 2015 il Mipaaf aveva messo in vendita l’ex «Istituto nazionale di «Genetica per la Cerealicoltura» di Roma voluto e ideato da Nazareno Strampelli, dove lavorano decine di ricercatori sul tema dei grani e delle paste alimentari, diventati oggi tanto di moda. La palazzina sede dello «Istituto Sperimentale per lo studio e la difesa del suolo» sarà sede di un elegante hotel, e i problemi della pedologia saranno affrontati dai ricercatori associati all’ex-«Istituto sperimentale di Zoologia agraria» (mi pare che i titolari di cattedre di «pedologia» in Italia siano attualmente cinque) e così via.
  57. Le rassicuranti parole dell’ex-Ministro «Unire Cra e Inea vuol dire creare un nuovo soggetto forte, professionale e competente in grado di dare supporto alle migliaia di aziende agricole e alimentari che sono protagoniste del successo del Made in Italy. Vuol dire soprattutto dare garanzie per il futuro. Vogliamo fare un passo avanti deciso per rilanciare le nostre attività soprattutto nel campo della ricerca, dove l’Italia dovrà essere protagonista a livello europeo e globale, anche utilizzando al meglio i fondi di Horizon 2020 dell’Ue», alla prova dei fatti si sono rivelate “aria fritta”, come è avvenuto anche con l’aggregazione del CFS all’Arma dei Carabinieri. In realtà sono stati snaturati i compiti e le funzioni istituzionali, sono state ridotte drasticamente le capacità operative, dando vita ad un sistema di ricerca gerarchizzato, privo di ogni autonomia scientifica.
  58. Nel 2016 è stato completato il sequenziamento del genoma del frumento: «Un risultato storico, ottenuto da un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Luigi Cattivelli, scienziato del nostro ente CREA dell’Università di Bologna» e anche altri istituti controllati dal Mipaaf hanno ottenuto dei successi nel settore dell’enologia, dell’agrumicoltura, della viticoltura, ecc.. La Coldiretti, con il supporto del Mipaaf e di varie organizzazioni ambientalistiche, conduce da anni un’opposizione serrata contro gli OGM, l’uso di fitofarmaci indispensabili per prevenzione di fitopatie o per il diserbo (Glifosato) e, in contrasto con le indicazioni del mondo scientifico, si rifiuta di applicare le misure sanitarie concordate a livello internazionale per prevenire la diffusione di patogeni (estirpazione degli olivi attaccati da Xylella.
  59. Dalla prima metà del 1800 fino ai primi anni di questo secolo: «Ministero per l’agricoltura, l’industria e il commercio»; poi «Ministero dell’agricoltura» (1909 – 1935); indi «Ministero dell’agricoltura e delle foreste» (1935 – 1993); ancora «Ministero per il coordinamento delle politiche agricole» (Breve intermezzo 1993); quindi «Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali» (1993 – 1999); «Ministero per le politiche agricole» (breve intervallo 1999); «Ministero per le politiche agricole e forestali» (1999 – 2006); infine «Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali» (2006 – 2018). Una sequela di nomi, un’unica evanescente politica agro-silvo-pastorale e alimentare.
  60. Il costante ricorso ad accattivanti anglicismi per presentare supposte novità o insussistenti realtà è una costante della pubblicistica “politicamente corretta”, tendente a narcotizzare il pubblico. Parlare di “green economy” nel corso di una crisi ormai decennale è chiaramente un’assurdità perché già nel 2010 il World Forum Economy (WEF) avvertiva che «A Green Economy is not possible without a stable global financial system underpinned by open, accountable, transparent, and responsible capital markets». Figuriamoci se è possibile ipotizzare l’avvio di una una “green economy” ora che  la situazione economica è lungi dall’essersi assestata e che permangono forti rischi che non ci possa essere una ripresa nella produttività: «According to data from the World Economic Forum’s (Settembre 2017): «Ten years on from the global financial crisis, the prospects for a sustained economic recovery remain at risk due to a widespread failure on the part of leaders and policy-makers to put in place reforms necessary to underpin competitiveness and bring about much-needed increases in productivity».
  61. Basterebbero poche cifre: boschi bruciati (74.965 ettari bruciati nei sette mesi del 2017); lista delle alluvioni e innondazioni dal 2000 al 2017; i boschi con una (non specificata) “Pianificazione di orientamento” coprono il 2,2% (193.142 ha) della superficie boscata complessiva di 8 759 200 ettari (Dati IFNC 2015).
  62. Le infrazioni commesse da alcuni agricoltori che hanno sforato i limiti produttivi fissati dall’UE.
  63. A novembre 2015 l’Italia era in testa per le procedure d’infrazione.  Con soddisfazione si segnala che nel 2017  le procedure d’infrazione sono scese a 65mila (erano 120mila nell’anno precedente). Molte di queste riguardano il settore agroalimentare, i ritardi sui pagamenti, gli oneri burocratici che gravano sulle aziende e condizionano negativamente la loro attività.
  64. «spreco alimentare»: l’insieme dei prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare per ragioni commerciali o estetiche ovvero per prossimita’ della data di scadenza, ancora commestibili e potenzialmente destinabili al consumo umano o animale e che, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati a essere smaltiti, (Legge 19 agosto 2016, n. 166).
  65. La “Carta di Milano” è stata tradotta in diverse lingue a cura della FAO e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, riporto qui la versione in inglese (USA) confidando che questa iniziativa abbia maggior successo a livello internazionale di quanto ne ha avuto in Italia.
  66. «Last Minute Market è una società spin-off dell’Università di Bologna, nata nel 1998 come attività di ricerca e trasformasi in realtà imprenditoriale nel 2003 per sviluppare progetti di recupero di beni invenduti (o non commercializzabili) a favore di enti caritativi». Il professor Segre ha contribuito alla diffusione della fake news che nel nostro Paese lo spreco alimentare ammonterebbe a 30%, cifra assurda ripresa e diffusa da molti media e mai rettificata dal Mipaaf. In realtà lo spreco assommerebbe, secondo recenti indagini, a 8% (cifra ritenuta fisiologica).
  67. «L’idea di Francesco Ardito e Massimo Ivul è semplice: grazie ai sistemi di geolocalizzazione, gli utenti ricevono dai negozianti più vicini offerte vantaggiose per il cibo che rischia di non essere venduto e quindi di andare sprecato».
  68. Legge 19 agosto 2016. n.166Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a i di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi.
  69. Olindo Guerrini, “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa”

    Per semplificare gli acquisti di alimenti raccomando al Mipaaf la creazione di un’apposita apps delle etichette dei prodotti da accoppiare ai dati antropomorfici e sanitari dell’utente per allertarlo sui pericoli/ vantaggi d’uso dei vari prodotti. Dato l’interesse del Mipaaf ad evitare lo spreco alimentare, suggerirei anche di diffondere lo storico, insuperabile, manuale di Olindo Guerrini (Lorenzo Stecchetti, in arte), L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa, (Newton Compton, Roma), e Le ricette di Petronilla (pseudonimo di Amalia Moretti Foggia, ed. Guido Tommasi Editore) e inserire negli invasivi palinsesti culinari TV un programma mirato alla lotta allo «spreco alimentare», al salutare uso del «cibo avanzato», alla «lettura delle etichette», all’«italianità culinaria e gastroenterica», ecc.  ecc.

  70. Il Glifosato o Glyphosate è un erbicida non selettivo largamente impiegato in agricoltura, divenuto oggetto di accanite diatribe per il presunto effetto cancerogeno («L’International Agency for Research on Cancer – IARC» di Lione lo ha classificato tra i «probabili cancerogeni», gruppo 2 A, lo stesso della carne rossa, dei fumi di frittura e del lavoro notturno). La polemica sulla dannosità per la salute e per l’ambiente si è rinvigorita in seguito al provvedimento della Ue di prorogare per altri dieci anni (ridotti poi a 5 anni) la licenza d’uso. L’Italia e la Francia hanno contestato il provvedimento e diverse associazioni naturalistiche e organizzazioni professionali hanno dato vita a nutrite proteste. Anche in questo caso si tratta di proteste che nascono da un allarmismo eccessivo, basato sulla scarsa conoscenza delle pratiche agricole e un’astratta visione dei fattori patogenetici. (cfr. E. Cattaneo)
  71. Si tratta di un’imponente metanalisi di dati raccolti in tutto il mondo sul mais trasgenico e la riduzione di micotossine, che confermano sostanzialmente le conclusioni del rapporto «Genetically Engineered Crops: Experiences and Prospects» pubblicato da “The National Academy of Sciences” nel 2016. Gli studi sulle problematiche connesse all’uso di organismi geneticamente modificati in agricoltura sono numerosissimi e coprono un ventaglio assai ampio di temi (biodiversità, inquinamento, salute, ecc.). Sono affrontati da ricercatori di ogni paese con scrupolo e rigore scientifico, mentre nel nostro Paese gli interventi di ricercatori competenti su questo tema sono assai limitati e prevalgono le opinioni di sedicenti esperti ai quali vien dato ampio spazio dai mass media per propagare allarmistiche notizie, spesso del tutto prive di fondamento scientifico. I ricercatori che cercano di evidenziare aspetti positivi dell’applicazione delle biotecnologie sono tacciati di essere al soldo delle multinazionali del settore in base alla diffusa “teoria del complottismo”.
  72. Di frequente le associazioni e gruppi di “animalisti” (protettori della vita e del benessere animale) agiscono impunemente deteriorando impianti zootecnici, minacciando quanti lavorano nell’allevamento di animali domestici o coloro che consumano prodotti derivati da animali. Per un aggiornamento sull’intolleranza criminosa di alcuni gruppi sedicenti protettori degli animali cfr. Giuseppe Cruciani, «I fasciovegani. Libertà di cibo e di pensiero». La nave di Teseo, 2017.
  73. Ideologia fondata su una “sacralizzazione” della natura e su visioni biologiche e naturalistiche ascentifiche.
  74. Sull’estremismo, irrazionalità ed intolleranza delle variegate “sette” ambientaliste si è scritto molto, ma è tuttora profondamente radicato un sentire antiscientifico, un rifiuto alla razionalità, un rigetto dell’opinione degli esperti (trattati spesso come zimbelli – “i sapientoni”, “gli intellettuali”). Si sta diffondendo la convinzione che l’ignoranza sia una virtù, che «ogni opinione su un qualsiasi argomento valga quanto quella dell’altro», insomma «La gente non solo crede alle sciocchezze, si oppone anche attivamente a imparare di più, pur di non abbandonare le proprie errate convinzioni» (Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici: l’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia. Luiss University Press, 2018).
  75. Per definizione è l’agricoltura che non fa uso di fertilizzanti e pesticidi chimici di sintesi e si limita ad applicare prodotti naturali per la difesa fitosanitaria e per la produzione. La genericità delle indicazioni, pomposamente chiamate “principi base” dell’«agricoltura biologica», è evidente. Chi non vorrebbe avere dei cibi “genuini”, ma cosa significa “genuino”? Cosa significa «migliorare i cicli biologici», e qual’è il «comportamento innato degli animali d’allevamento», e altre astrusità del genere. Per me è un mistero capire come faccia l’agricoltura biologica a «conservare la diversità genetica del sistema agricolo e dell’ambiente» e «rispettare la «memoria genetica di tutti gli esseri viventi, escludendo gli OGM». Sproloquio senza senso, accozzaglia di frasi fatte, prive di ogni logica, un concentrato di “senso comune” senza il minimo “buon senso”. Siamo tornati ai tempi della peste bubbonica, quando «Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune» (A. Manzoni). È però preoccupante che il mondo accademico e professionale assista silente alla diffusione di “bufale”, truffe e sciocchezze antiscientifiche che pervadono l’agroalimentare e la biologia
  76. La «agricoltura biodinamica» si differenzia dall’agricoltura biologica per l’uso di particolari preparati  a base di erbe e minerali, irrorati sulle piante, e per l’esecuzione di una complicata forma di concimazione mediante corni vaccini riempiti di sterco. Segue inoltre i cicli lunari sia per la semina che per i lavori nei campi, evitando l’applicazione di insetticidi e prodotti artificiali per la difesa fitosanitaria.
  77. Maurizio Martina, quand’era titolare del Mipaaf ha addirittura sostenuto l’attivazione di corsi  di agricoltura biodinamica nelle facoltà di agraria ed ha inserito questa pratica nel «piano strategico nazionale per lo sviluppo del sistema biologico». Nell’assegnazione di incentivi per le aziende di giovani agricoltori si è avuto un occhio di riguardo per quanti sostenevano di applicare l’agricoltura “biologica”, “biodinamica” o altre astrusi  “indirizzi colturali” destinando fondi pubblici per il sostegno di ciarlatanesche esoteriche pratiche colturali.
  78. S. Garattini, «Il miraggio dell’agricoltura biologica», «Negri News 131» n. 02 giugno 2001, citato da S. Fuso, «Pinocchio e la scienza: come difendersi da false credenze e bufale scientifiche». Ed. Dedalo, 2006.

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