Quante “selvicolture” ?

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Pierre Narcis Guérin, Aurora e Cefalo, 1811

Pierre Narcis Guérin, Aurora e Cefalo, 1811

Aurora risveglia i miei “men che venticinque lettori” dal soporifero torpore di Morfeo, figlio di Hypnos, per riprendere la faticosa opera di intendere il criptico pensare dei «silvo-sistemici». Aiutaci anche a far luce sulle molteplici «selvicolture», imprigionate nel contenitore «classico» creato dall’iniziatore del novello «paradigma silvo-sistemico» (confidando non si tratti del «Vaso di Pandora»).
Prima di affrontare questo arduo percorso, è necessario però capire,  attraverso le parole del maestro, donde trae origine la «selvicoltura sistemica»:

Disney, Grillo parlante

Disney, Grillo parlante

«L’affermazione dell’ecologia, la presa di coscienza che la protezione dell’ambiente è indispensabile per rendere vivibile il presente e possibile il futuro, la maggiore attenzione della società per la tutela del bosco hanno provocato negli ultimi decenni la maturazione di una diversa visione forestale e l’elaborazione di strategie di gestione forestale sostenibile».1

 

Da questo lapidario assunto, si apprende che l’affermazione dell’ecologia, l’accresciuta sensibilità nei riguardi dell’ambiente e l’impellente necessità di salvaguardare il «bosco» hanno condotto alla  «elaborazione di strategie di gestione forestale sostenibile» (la più rilevante strategia di «gestione forestale sostenibile» pare essere «la selvicoltura sistemica»).
Non conosco i dati o gli elementi fattuali che convalidino queste affermazioni, ma l’esperienza quotidiana del degrado ambientale vissuto attraverso le sempre più frequenti alluvioni, il dissesto idrogeologico, l’inquinamento di aria, acqua e suolo, mi induce a considerare con un certo scetticismo queste asserzioni sull’accresciuta sensibilità collettiva (che sia qualcosa di più di un qualunquistico mugugno) per i problemi ecologico-ambientali.
Forse sono solamente un inveterato pessimista, seguace della legge Murphy: «In natura non c’è cosa che funzioni sempre bene. Di conseguenza, se ogni cosa funziona bene … c’è qualcosa che non funziona».2
Se considero poi i problemi di politica agro-forestale, debbo confessare il mio sconforto.
Inesistenti i programmi (e soprattutto la volontà politica) di arrestare il crescente degrado ambientale; amministrazioni poco efficienti; accademie  che dibattono su astratte teorie; ricerche fittizie dedicate a gravosi problemi globali (“biodiversità”, “mutamento climatico”, “gestione sostenibile”, etc.) irrealizzabili per mancanza di finanziamenti e specialisti adeguati; modeste indagini sulla realtà del territorio e dell’ambiente che ci circonda; tecniche e ritrovati scientifici inapplicabili per questioni ideologiche o per veti politici ed altro ancora.

Doré, Gufo

Doré, Gufo

Forse si dovrebbe anche fare un accenno alle “guerre”, alle “stragi”, agli “esodi di massa”, alla “fame” per capire se sia ragionevole e lecito  escludere queste «variabili» dalle indagini ambientali, assumendo trattarsi di elementi privi di ogni connessione con la «ricerca scientifica».
Questa litania potrebbe proseguire col pericolo concreto di essere inclusi nell’apposita categoria dei “gufi”.

Ma voglio evitare vane geremiadi. Non intendo associarmi (o essere gentilmente associato) ai professionisti del mugugno e del malumore; men che meno, alla crescente schiera di coloro che diffondono dati artefatti, false o manipolate notizie (ottimistiche o pessimistiche a seconda delle convenienze), e neppure alla pletora di illusionisti e ciarlatani che  sfruttano ignoranza, emotività e dabbenaggine per piazzare i loro miracolosi ritrovati. Costoro svalutano quel poco di razionalità residua nel nostro paese e diffondono la «coltura marmellata»(Jervis), la «trasformazione delle conoscenze in semplice sentito dire: sull’ecologia come sulla salute mentale si sono diffuse ideologie clichés» e «La tendenza a sorvolare su prove, fatti, cifre e verifiche, che ha cominciato ad affermarsi negli anni ’70 sull’onda del movimentismo giovanile, è cresciuta nell’ambito di una cultura generale intesa – nel nostro paese – in senso filosofico-letterario, oltre che appesantita dall’idealismo». 3
Restando aderenti alla nostra materia, non dobbiamo dimenticare che il ministro delle “Politiche agricole” «millanta di “andare oltre” gli OGM e assegna qualche milione ai suoi enti (briciole a cui nessuna libera ricerca universitaria potrà direttamente accedere) a patto che le idee rimangano chiuse nei laboratori, senza l’indispensabile verifica in campo aperto; lo stesso ministro che benedice una pratica agricola (la biodinamica) basata su astrologia e altre superstizioni».4 Ma non si tratta del solo rappresentante istituzionale che abbia sposato per interessi elettoralistici le panzane degli «ecologisti», degli «animalisti», dei curatori col metodo “Stamina”, “Di Bella” e via dicendo, magari appellandosi alla «bioetica» del cattolicesimo più retrivo.
La politica agraria del nostro paese è affidata ai «guru» del «piccolo è bello» (Carlin Petrini), allo sviluppo delle “filiere corte”,  al rafforzamento dell’agricoltura biologica, ai mercatini del cibo natural-bio-ecologico dei contadini, al recupero delle aree agricole abbandonate (dove 100.000 giovani potrebbero trovare occupazione! Dichiarazione del ministro Martina), con il risultato, questo sì concreto, che il fatturato medio per ogni impresa agro-alimentare è di 5.110.000 di euro in Germania, 3.366.000 in Spagna, 2.654.000 in Francia e solo 2.042.000 in Italia.5
Corifei del «pensiero unico» amerebbero trovarsi assieme a Serge Latouche in pacifiche, agresti società pre-tecnologiche, frutto di una “decrescita felice”, dove finalmente ci si potrebbe salvare dalla «tecnologia distruttiva», dalla incombente «apocalisse ecologica» e magari risolvere anche il problema della fame nel mondo.6

Occupazione di Firenze

Foto Locchi, Occupazione nazista di Firenze.

Se poi guardiamo nel nostro orticello (anzi boschetto) «silvo-bucolico-pastorale», cosa dire del Capo della “Forestale” (CFS) – or ora aggregata alla “Benemerita” – il quale si diletta a disquisire sulla «Deep Ecology» e afferma (in sintonia con Naess, fondatore di questo movimento) che «le politiche alimentari debbono mirare a smantellare l’agro-industria e le colture commerciali, cercando di ripristinare i sistemi agricoli basati sull’autosufficienza alimentare» (qui siamo addirittura all’autarchia), e non basta «lo stesso vale per il settore dell’abbigliamento, con la valorizzazione dell’artigianato locale, per il settore edilizio, con il ritorno a forme tradizionali e all’impiego di materiali locali, per la sanità, etc. …».7
È auspicabile che l’accorpamento ai carabinieri di questo “corpo forestale” porti anche ad una maggior concretezza nell’attività svolta e ci liberi da chi sostiene che «Lo specifico principio umano che stabilisce la differenza essenziale sarebbe piuttosto un principio assoluto contrapposto alla vita, chiamato spirito: l’essenza dello spirito consiste nella sua svincolabilità dalla pressione del biologico, nella sua capacità di sottrarsi alle dipendenze della vita; un essere portatore di spirito non è più incatenato nelle pulsioni, non è più circoscritto al suo  ambiente come un animale, ma è invece in grado di innalzare il mondo circostante alla condizione di oggetto, di distanziarsi da esso».8
Dopo questa tragici vaneggiamenti spiritualistici, fondati su una rapida rivisitazione al pensiero di Gehlen e di Scheler,9 e su una  citazione di prammatica di Spengler10  – noti esponenti del «pensiero forestale» -, torniamo al nostro tema.
Ma non lasciamoci incantare dai suggestivi inviti  a partecipare all’ecologia profonda (la mitica «Deep Ecology»), evitiamo i farneticanti appelli a seguire il cammino della  «decrescita felice» per far ritorno all’Arcadia pre-tecnologica, anche  perché con tutta la buona volontà non sarei in grado «di avere un approccio alla tutela del bosco [come certi movimenti di matrice anglosassone] … con un’attenzione per la salvaguardia del bosco e dell’ecosistema dettata dal forte senso di appartenenza derivante dal fatto di abitare nel bosco, nelle caverne e negli incavi degli alberi».11
Cerchiamo quindi di ritornare al nostro tema, ma «Quante sono le “selvicolture”?».
Prima di riprendere il tema sulla numerosità e le caratteristiche delle «selvicolture», prendiamoci una ristoratrice pausa seguendo questa magistrale lezione del professor Enrico Bellone su “La scienza moderna tra Bacon e Galilei”, forse qualcuno potrà trarne beneficio (come ne ho tratto io).

La «selvicoltura» viene catalogata dal professor Ciancio in «selvicoltura classica», rappresentata a sua volta dalla «selvicoltura finanziaria», dalla «selvicoltura naturalistica» o «vicino alla natura», e dalla «selvicoltura su basi ecologiche»,12  e infine – a coronamento e superamento del tutto – la «selvicoltura sistemica».

Disney, Grillo parlante.

Disney, Grillo parlante.

«La selvicoltura classica, quella che attualmente si insegna nelle università, è l’espressione teorica e pratica della concezione newtoniana secondo la quale le leggi hanno origine sperimentale. In selvicoltura, quindi, tutto sarebbe deducibile dai dati conseguiti sperimentalmente».13

 Ancora una volta viene chiamato in causa Newton con la sua «assurda» tesi che «le leggi debbano essere validate mediante il metodo sperimentale» e di conseguenza anche per la «selvicoltura» debba valere il metodo sperimentale (se fosse «scienza»).14

Per carità! Non si è mai preteso che «In selvicoltura [quindi] tutto sarebbe deducibile dai dati conseguiti sperimentalmente». Non di questo si tratta.
Tuttavia, se si afferma che attraverso certe pratiche colturali o di gestione del bosco si conseguono determinati risultati, si deve avvalorare sperimentalmente quanto sostenuto, magari consentendo ad altri di ripetere le esperienze condotte.
Non ci hanno sempre detto di non giurare sulle parole del maestro (Nolite iurare in verba magistri – Orazio), perché in passato «abbiamo creduto che Giove regnasse in cielo quando lo abbiamo sentito tuonare» (Caelo tonantem credidimus Iovem regnare – sempre dello stesso autore), e ci siamo sbagliati.
È dal XVI – XVII secolo che si cerca con fatica e perseveranza di verificare e «comprovare» le teorie dei maestri con risultati finora apprezzabili.

Kant Illuminismo

Kant, Risposta alla domanda che cos’è l’Illuminismo (1784)

Dopo questo faticoso percorso per studiare la natura, non si vuol tornare a prestar fede ad un «maestro» (scritto generalmente con la maiuscola). Non si vuol smettere di indagare e di ricercare facendo uso dell’intelletto, consapevoli che la verità scientifica non ha niente a che fare con la «Verità» (teologica, metafisica o con quella di “filosofie alla moda”).
Anche il professor Ciancio afferma che «le verità scientifiche sono tali perché provvisorie e quindi mutabili nel tempo a seguito dell’acquisizione di nuove conoscenze che le rendono obsolete», dimenticandosi però che nuove teorie scientifiche molto spesso ampliano il campo di applicazione di precedenti teorie e che è piuttosto raro che quanto teorizzato in precedenza diventi «obsoleto» e quindi da «rottamare».
Paolo Rossi in un suo breve recente scritto osserva «La fisica di Newton non è diventata falsa, è diventata parte di una fisica più ampia che comprende anche la relatività, «…  la fisica newtoniana non è stata cancellata, ma inglobata dentro una fisica più ampia». 15

Disney, Grillo parlante

Disney, Grillo parlante

Il professor Ciancio afferma che «Le finalità della “selvicoltura sistemica” sono:
a) il mantenimento del sistema bosco in equilibrio con l’ambiente;
b) la conservazione e l’aumento della biodiversità e, più in generale, della complessità del sistema;
c) la congruenza dell’attività colturale con i sistemi con i quali il bosco interagisce».16

Come tecnico o come semplice osservatore ho il diritto-dovere di esigere una verifica della rispondenza di questi assunti e di chiedere una documentazione che attesti mediante dati sperimentali la validità di queste affermazioni.
Per secoli ci si è appellati all’autorità di Aristotele, della Chiesa e di tanti altri insigni pensatori, ma da un po’ di tempo a questa parte abbiamo preso (non tutti) l’ardire di pensare con la nostra testa ed agire di conseguenza.

Brueghel Contadini

Jan Brueghel il Giovane. Contadini che tornano dal mercato, 1630 ca.

A questo punto, devo però confessare la mia ignoranza, non sapevo che Newton si fosse interessato di coltura dei boschi ed avesse la gravosa responsabilità di aver voluto che persino la «selvicoltura» soggiacesse all’obbligo di applicare il metodo sperimentale per comprovare la validità di determinate ipotesi.
Al tempo dell’illustre scienziato, in Inghilterra non si sapeva nemmeno cosa fosse la «selvicoltura» (intendo quella «scientifica» o, come la chiama Ciancio, «classica»).
Evelyn, considerato uno degli iniziatori della «selvicoltura» inglese presentò il suo trattato «Sylva» alla Royal Society nel 1663, titolandolo «Discourse of Forest Trees».
In quel periodo (1665) Newton, a causa della peste, aveva abbandonato Cambridge e si era ritirato nella casa avita di Woolsthorpe, dove si dedicava agli studi sulla luce e sui colori, sul calcolo differenziale e sui movimenti dei pianeti, oggetto dei “Principia”, pubblicati nel 1687. Nessun biografo ha mai segnalato che Newton si fosse a quell’epoca interessato della cura dei boschi; avrà forse avuto qualche problema con la «frutticoltura», per via della mela cadutagli in testa, ma questa è una leggenda.

Isaac Newton

Isaac Newton

Per studiare la natura Newton propose  di applicare il metodo induttivo basato su quattro regole generali:
Regola I: «Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i «fenomeni», perché la natura è semplice e non richiede spiegazioni complicate (rasoio di Occam);
Regola II: «Finché può essere fatto, le medesime cause vanno attribuite a effetti naturali dello stesso genere»;
Regola III: «Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti, devono essere ritenute qualità di tutti i corpi»;
Regola IV: «Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni, nonostante le ipotesi contrarie, devono essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assoggettate a eccezioni».17
Da queste regole si può dedurre che «La spiegazione della realtà naturale… deve limitarsi a ricercare le cause dei fenomeni, senza pretendere di indagare l’essenza delle cose»; «la scientificità del sapere è data dall’unione di oggettività e universalità: essa nasce pertanto dal concorso tra la verifica sperimentale e il principio dell’uniformità della natura»; «qualunque cosa non deducibile dai fenomeni, va chiamata ipotesi, e «nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche».18
Se si rispetta il pensiero di Newton si deve concludere che nelle indagini sui fenomeni naturali non si devono ammettere «ipotesi», assunti arbitrari e intuizioni che non siano ricavate dall’osservazione sperimentale.
Il professor Ciancio sembra rifiutare tutto questo, quando afferma che «Il metodo scientifico è deterministico. Il costrutto teorico si fonda su un modo di pensare razionale, analitico, riduzionistico e lineare», portando come prova a supporto di questa sua affermazione uno scritto pubblicato in collaborazione con una sua discepola.19

Vorrei inserire qui una nota di stile e di correttezza professionale. In genere, la citazione ad un articolo personale, anche se realizzato con altri ricercatori (sopratutto se si tratta di «discepoli») non costituisce un attestato di validità di una tesi scientifica e le auto-citazioni o le citazioni incrociate, pertinenti con quanto si sta esponendo, devono essere sempre contenute nella numerosità. A supporto delle proprie tesi non si dovrebbe ricorrere ad auto-citazioni, a citazioni incrociate, a richiami a testi di difficile consultazione oppure riferiti a temi non attinenti l’oggetto esaminato.
Si dovrebbe anche tener conto dei
suggerimenti del “Gruppo di lavoro sulla valutazione bibliometrica”, il quale, pur accettando di non escludere a priori le autocitazioni, ha invitato ad esaminare con particolare attenzione gli articoli con un numero di autocitazioni superiore al 50% del totale delle citazioni (limite largamente superato negli articoli di Ciancio e discepoli).

Non è facile, grazie anche alla stringatezza delle spiegazioni dei «silvo-sistemici», capire perché «l’approccio sperimentale [di Newton] è riduzionistico». Bacone e Galilei prima, Newton e Cartesio poi,  e via via les philosophes illuministi e poi tutti coloro che, basandosi sul «metodo sperimentale», sulla «ragione» e sulla «logica», hanno contribuito allo sviluppo delle conoscenze nei vari campi del sapere, sono additati come responsabili dell’arretratezza delle «scienze forestali» o della «selvicoltura ed assestamento forestale».
Non starà forse esagerando il professor Ciancio con la sua «epistemologia» e la sua «filosofia» applicata alla coltura e gestione dei boschi; non vorrà forse convincere i lettori che il «metodo scientifico» è superato?

Una critica basata unicamente sulla non attinenza e sull’estraneità di queste elucubrazioni “filosofico-epistemologiche” alla «selvicoltura» e alle «scienze forestali» potrebbe essere rigettata con la giustificazione che non si può negare che in ogni epoca il modo di indagare sulla natura è stato influenzato dal rapporto esistente tra quella specifica società e l’ambiente naturale.
In questo caso però si tratta di un problema diverso, non si discute sui modi di considerare e vivere la natura, di utilizzarne le risorse e di far fronte ai conflitti tra interessi diversi, spesso contrastanti all’epoca di Newton o di Bacone, ma si sta dibattendo sull’influsso che la filosofia (del XVI-XVII e posteriore) ha esercitato sulle pratiche d’uso del bosco o di sfruttamento delle risorse naturali attuali. In breve si sta considerando se e come il pensiero filosofico abbia interagito su un’attività umana («selvicoltura»), e a questo interrogativo i «silvo-sistemici» rispondono perentoriamente che la filosofia di Bacone, Newton, Cartesio ha condizionando lo sviluppo conoscitivo delle «scienze forestali» fino ai giorni nostri.
Infatti la «selvicoltura classica», in quanto dominata dalle concezioni filosofiche baconiane, newtoniane, cartesiane e via dicendo, non è in grado di cogliere la complessità delle biocenosi boschive, perché ha un approccio meccanicistico e riduttivistico nel modo di indagare sul «bosco» e sulla natura ed inoltre basa gli interventi sul bosco sulla visione semplicistica ed unilaterale del rapporto causa-effetto tra «fenomeni». Egli infatti afferma: «Dai tempi di Isaac Newton (1642-1727) in campo scientifico quasi sempre si è operato con il criterio meccanicistico ontologico, cioè tenendo lo sperimentatore nettamente separato dall’oggetto della conoscenza. Così si è accettato acriticamente il determinismo e la validità del rapporto causa-effetto», «… Forse è bene ricordare che il determinismo nella ricerca è un problema che da sempre ha interessato i fisici e, a partire dal secolo scorso, sempre più anche i biologi».20
Nessuna prova o giustificazione viene presentata per confutare le regole newtoniane esposte. Solamente la perentoria affermazione che il «Il metodo scientifico è deterministico e in quanto tale presuppone l’acquisizione di certezze assolute e definitive», supportata da scritti personali o di suoi discepoli. Egli sostiene in coro con i suoi diretti collaboratori, che il limite della filosofia baconiana (e poi di quella  cartesiana) è di pensare che «La dinamica dell’intero si può dedurre dalle proprietà delle parti. Il metodo scientifico è deterministico e in quanto tale presuppone l’acquisizione di certezze assolute e definitive. L’atteggiamento nei confronti dell’oggetto di studio – nella fattispecie il bosco – è quello del dominio e del controllo».21
Si tratta di una sorta di «mantra», ripetuto a bizzeffe in ogni occasione, senza peraltro fornire alcuna spiegazione o apportare qualsivoglia delucidazione o elemento probante questa idea fissa. Che il «metodo scientifico sia deterministico» e che – in quanto tale – presupponga «l’acquisizione di certezze assolute e definitive», è un completo stravolgimento del pensiero dei filosofi citati, una palese falsificazione delle teorie di Newton, Bacone, Galilei e via via di tutti i filosofi e scienziati che nei secoli hanno propugnato ed adottato il «metodo scientifico sperimentale».
Nessun scienziato ha mai sostenuto che mediante il metodo scientifico si vogliono acquisire «certezze assolute e definitive». Anch’io (modestamente) aspiro a far parte dei «seguaci di un “realismo dogmatico”, cioè di quanti presuppongono «che in campo scientifico non vi siano asserzioni sperimentali riguardanti l’ecologia e la selvicoltura che non possano essere oggettivate».22
Bacone, per affermare l’assoluta necessità di carpire i segreti della natura, utilizzava l’espressione metaforica «La natura è una «donna pubblica noi dobbiamo domarla, penetrarne i segreti e incatenarla secondo i nostri desideri».23 Egli parlava ovviamente sotto metafora, non certo perché fosse violento ed antifemminista, perché fuor di metafora diceva «che l’uomo, di là dalla sua comprensione dell’ordine naturale, non possiede nessun sapere o potere reale sulla natura, la quale agisce sull’uomo, ma nello stesso tempo ha bisogno dell’uomo, suo ministro e interprete, che comprendendola può farla rendere di più».24  Non capire il linguaggio metaforico di Bacone e ripetere continuamente che negli scritti di Bacone è connaturata l’attitudine dominatrice e violentatrice dell’uomo sulla natura, significa trarre in inganno i lettori attraverso una lettura distorta di testi filosofici.

Dopo questa ennesima digressione, ritorniamo all’oggetto dell’articolo: «Quante sono le selvicolture?».

Si è visto come attraverso una manipolazione del pensiero di Bacone e di Newton, cui si aggiungeranno successivamente Cartesio e i filosofi dell’illuminismo, si afferma che la «selvicoltura classica» in quanto basa le sue conoscenze su dati sperimentali acquisiti in modo oggettivo («tenendo lo sperimentatore nettamente separato dall’oggetto della conoscenza»), ha una visione deterministica della realtà, unilaterale «basata sul rapporto causa-effetto su cui basa gli interventi sul bosco».
Personalmente ho difficoltà ad ipotizzare un rapporto di compenetrazione dello sperimentatore con l’oggetto della sua ricerca, «bosco», ma la cosa probabilmente riesce a chi «sa parlare col bosco». Se nell’applicare un intervento selvicolturale, il forestale non si basasse sul principio causa-effetto (principio non necessariamente  lineare), su quale criterio alternativo dovrebbe impostare la sua azione?  Su previsioni oracolari, pratiche  divinatorie, indicazioni extraterrestri, oppure chissà sul «verbo silvo-sistemico»?.
Ordunque, la «selvicoltura classica» deve essere rigettata, in quanto fuorviata dalle teorie baconiane, newtoniane e cartesiane; tradita dalla fallace pretesa di voler fondare la sua azione su dati sperimentali e su osservazioni oggettive; illusa di poter agire in base a rigorose valutazioni delle conseguenze di determinati interventi (causa-effetto).
I presupposti su cui si fonda (metodo sperimentale, oggettività delle osservazioni, rigorosa determinazione dei fenomeni, attenta analisi del rapporto causa-effetto) sono fallaci, perché non sono in grado di fornirci una reale conoscenza degli interventi da applicare al «bosco» in quanto inadeguati a cogliere la complessità di questo «organismo».
Questi vizi di fondo hanno limitato sempre le nostre conoscenze e le nostre capacità operative. Se i fondamenti della «selvicoltura classica» fossero stati validi  «… già da molto tempo avremmo una esatta e completa conoscenza dei molteplici e complessi fenomeni che si verificano nel sistema biologico bosco a seguito degli eventi colturali»; «Avremmo quindi una scienza selvicolturale invariabile, verificabile e riproducibile». Se però così fosse le noste esperienze scientifiche sarebbero «eterne»: «Peraltro, ammettere questo presupposto teorico significherebbe che quanto accertato sperimentalmente sarebbe indubitabile, immodificabile e definitivo». Strano ragionamento questo: «quanto accertato sperimentalmente è immodificabile, definitivo». Si era appena detto che le conoscenze scientifiche si arricchiscono mediante nuovi apprendimenti scientifici, i quali possono ampliare il campo di applicazione di precedenti tesi, oppure «falsificare» quanto si era ritenuto veritiero in precedenza.25
Non voglio sottilizzare sui salti logici di questa sentenza, dove si dà per universalmente accettato che il «bosco» sia «sistema biologico» e non una «biocenosi» o una «fitocenosi» (come è sotto-inteso dai forestali che applicano la «selvicoltura classica»).  All’ignaro lettore non viene neppur spiegato perché la «selvicoltura classica» (il termine selvicoltura denota in questo caso la «disciplina» afferente alle «scienze forestali») per le innate tare baconiane, newtoniane e cartesiane, è inadatta a darci «una esatta e completa conoscenza dei molteplici e complessi fenomeni che si verificano nel sistema biologico bosco a seguito degli eventi colturali». È piuttosto difficile (se non impossibile) capire il fondamento di queste affermazioni se non si specifica di quali «fenomeni» e di quali «interventi» si tratti.
Il problema di fondo è che i «silvo-sistemici» non utilizzano il linguaggio che si richiede per un’esposizione scientifica, cioè una spiegazione concettualmente rigorosa, priva di espressioni metaforiche o traslate, spoglia di termini polisemici o di espressioni alla moda, conforme alla terminologia specifica e storicamente determinata della disciplina . [cfr. Il linguaggio scientifico]

Arduo è il cammino per raggiungere la meta e poter sapere «quante sono le selvicolture».

Escher, Nel castello incantato

Escher, Nel castello incantato

 

La china è erta, stancante il vagare nel castello incantato dei «silvo-sistemici», prendiamoci quindi una pausa ristoratrice prima di addentrarci nei meandri complessi del «bosco organico» e nelle esegesi “filosofico-epistemologiche”.

 

Prendiamoci dunque un pausa ristoratrice nel “Paese dei balocchi”

Bruegel, Il paese della cuccagna

Bruegel il Vecchio, Il paese della cuccagna (The Land of Cockaigne), 1567.

  1. Ciancio Orazio, 2011 – Systemic silviculture: philosophical, epistemological and methodological aspects. L’Italia Forestale e Montana, 66 (3): 181-190. doi: 10.4129/ifm.2011.3.01 (Traduzione italiana).
  2. In nature, nothing is ever right. Therefore, if everything is going right … something is wrong.
  3. Jervis Giovanni, 2014 – In mezzo al frastuono delle grida, si perde il sussurro dei fatti. In “Contro il sentito dire”. Bollati Boringhieri Editore, Milano, p. 226.
  4. Cattaneo Elena, Il Paese e gli scienziati. Repubblica, 24/01/2016.
  5. Claudio Cerasa, Slow food, slow Italy: Il nanismo culturale del modello Petrini. Il Foglio, 20 Maggio 2015.
  6. Il programma del PdL ad esempio parla di «riduzione dei passaggi dal campo alla tavola dei prodotti agricoli» e di «diffusione di mercati gestiti direttamente dai produttori agricoli».
    Quello del PD di «promuovere la buona agricoltura»; di «incentivare la diffusione dell’agricoltura biologica»; di «dare finalmente attuazione alla legge sull’indicazione in etichetta dell’origine delle materie prime agricole trasformate»; di «favorire la filiera corta e il rapporto diretto tra i produttori agricoli e agroalimentari e i consumatori» ed «intensificare il sistema dei controlli per combattere l’’agro-pirateria’ e le frodi alimentari».
    Quello della SA infine di «sostenere la moratoria a livello europeo per gli OGM e non consentire forme di tolleranza per la contaminazione delle sementi»; di «contrastare l’abbandono delle aree agricole e tutelare il paesaggio rurale»; di «promuovere la vendita diretta degli agricoltori e la “filiera corta”»; di «sostenere con continuità l’agricoltura biologica ed i prodotti tipici» e «favorire l’impegno dei giovani in agricoltura»; cfr. Ideologia di Slow Food.
  7. Patrone Cesare, 2012 – Ecologia e bioetica: brevi considerazioni per un moderno approccio alla tutela dell’ambiente. Atti del Convegno «Coscienza ambientale. dall’etica alla prassi”, Vallombrosa15 giugno, Edizioni Vallombrosa, Firenze p. 39.
  8. ibidem, p. 40.
  9. Arnold Gehlen (1904-1976), antropologo rappresentante con Max Scheler della «filosofia antropologica», insegnò in varie università tedesche sostituendo colleghi costretti a riparare negli Stati Uniti (Paul Johannes Tillich) o precocemente pensionati (Hans Adolf Eduard Driesch) per il loro rifiuto ad aderire al Nazional-socialismo (Gehlen vi aderì nel 1933). Nel dopoguerra, dopo il processo di «denazificazione», ritornò ad insegnare a Vienna e a Spira. Per la biografia di Gehlen, cfr. Wikipedia, e Luigi Napolitano «filosofia antropologica»
  10. Il quale «… evidenzia molto bene come la nascita della tecnica non sia avvenuta nel ‘600 né oggi, ma coincida col momento stesso della creazione dell’uomo, “essere carente” che ha dovuto immediatamente inventarsi la lancia, la selce (?!), etc..
  11. Cesare Patrone, ibidem, p. 38.
  12. «La selvicoltura classica, cioè la selvicoltura finanziaria, la selvicoltura su basi ecologiche, la selvicoltura naturalistica o, come ora viene definita, selvicoltura vicino alla natura», Ciancio Orazio, 2007 – L’evoluzione della selvicoltura tra economia ed ecologia. L’Italia Forestale e Montana,62 (4): 225-230.
  13. Ciancio Orazio, 2009 – La ricerca in selvicoltura ed ecologia forestale: tra realismo dogmatico e conoscenza del bosco. Forest@ 6: 376-378 [online: 2009-11-23] – doi: 10.3832/efor0602-006.
  14. Il professor Ciancio in effetti lo sostiene. Egli parla addirittura di «scienza selvicolturale e assestamentale» e con afflato paterno raccomanda «È per questo che […] rivolgo a tutta la famiglia silvana, e specialmente ai giovani, l’esortazione a non chiudersi nell’inerzia o nell’attesa passiva, bensì a continuare unita e concorde con moltiplicato impegno nell’edificazione della scienza e della tecnica forestali» …); Ciancio Orazio, 2011 – La teoria della selvicoltura sistemica i razionalisti e gli antirazionalisti, le «sterili disquisizioni» e il sonnambulismo dell’intellighenzia forestale. Annali Accademia Italiana Scienze Forestali, vol. 59-60: 87-163.
  15. «Newton e la rivoluzione scientifica», in «Capire la Filosofia: la filosofia raccontata dai filosofi»; La biblioteca di Repubblica, 2011, n. 5, p. 23. Su questo problema si è un po’ discusso in precedenza (Cos’è mai la Selvicoltura: una scienza, una tecnica, un’arte? Primarie considerazioni) e quindi passiamo oltre.
  16. Ciancio Orazio, 2011 – Systemic silviculture: philosophical, epistemological and methodological aspects. L’Italia Forestale e Montana, 66 (3): 181-190. doi: 10.4129/ifm.2011.3.01.
  17. Queste «regole» tratte dai “Principi” (matematici, III) sono ben illustrate in «Fisica e filosofia in Inghilterra alla fine del XVII secolo: Isacco Newton: le quattro regole del metodo», oppure da Paolo Rossi in «Newton e la rivoluzione scientifica» in «Capire la Filosofia: la filosofia raccontata dai filosofi»; La biblioteca di Repubblica, 2011, n. 5.
  18. Paolo Rossi in «Newton e la rivoluzione scientifica» in «Capire la Filosofia: la filosofia raccontata dai filosofi»; La biblioteca di Repubblica, 2011, n. 5.
  19. Ciancio Orazio, Nocentini Susanna, 1996 − Il paradigma scientifico, la “buona selvicoltura” e la saggezza del forestale. In: Il bosco e l’uomo (a cura di Orazio Ciancio). Firenze, Accademia Italiana di Scienze Forestali. P. 259-270. (English version: The scientific paradigm, “good silviculture” and the wisdom of the forester. In: “The forest and man”, edited by Orazio Ciancio. Firenze, Accademia Italiana di Scienze Forestali, 1997, p. 257-268).
  20. Ciancio Orazio, 2015 – La selvicoltura: tecnica o scienza?. Italia Forestale e Montana, 70 (1), p. 3.
  21. Ciancio Orazio, 2011 – Systemic silviculture: philosophical, epistemological and methodological aspects. L’Italia Forestale e Montana, 66 (3): 181-190. doi: 10.4129/ifm.2011.3.01, traduzione italiana).
  22. Orazio Ciancio, «La ricerca in selvicoltura ed ecologia forestale: tra realismo dogmatico e conoscenza del bosco», Forest@ 6: 376-378.
  23. «Novum Organum Scientiarum» (1620).
  24. Si tratta dell’aforisma, che apre il primo libro del «Novum organum»: «Homo naturae minister et interpres, tantum facit et intelligit quantum de natura ordine re vel mente observaverit: nec amplius scit, nec potest».
  25. Ciancio Orazio, 2011 – Systemic silviculture: philosophical, epistemological and methodological aspects. L’Italia Forestale e Montana, 66 (3): 181-190. doi: 10.4129/ifm.2011.3.01, traduzione italiana).

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